Il 4 settembre arriverà nei cinema americani (e sarà disponibile on demand) un nuovo documentario sulla vita di Steve Jobs. Si intitola “The Man in the Machine” e lo ha girato il regista premio oscar Alex Gibney, già famoso per “Going Clear” un duro documentario su Scientology che aveva fatto infuriare i devoti del culto fondato da Ron Hubbard. Chi suole definire Apple come una specie di “chiesa laica” ha gli appigli giusti per lanciarsi in un parallelo con la reazione al documentario su Jobs da parte dei vertici Apple, cui “The Man in the Machine” proprio non è piaciuto.
Eddy Cue, SVP della divisione Internet Services di Apple, ha avuto modo di vedere il documentario in anteprima al festival SXSW a marzo e lo ha bocciato con un tweet lapidario:
Se il trailer è fedele nel riprodurre il tono che il regista ha voluto dare al documentario, non è difficile comprendere lo scontento di Cue e soci. Dal montaggio del video promozionale esce chiara l’intenzione di offrire un contrasto netto fra una genialità innata del personaggio che, per quanto diffusamente riconosciuta, contrasta (e forse viene sminuita) da una serie di piccolezze umane che hanno macchiato gli anni giovanili di Steve Jobs.
Il grande dilemma è sempre lo stesso: come dobbiamo considerare le mancanze di un ragazzo tanto geniale, dall’ego gigantesco che ha giocato un ruolo fondamentale nella rivoluzione informatica che ha dominato la fine del secolo scorso, alla luce dell’uomo che è diventato e dei successi che – sulla base anche di quella esperienza – è riuscito a ottenere?
Se il documentario riuscirà a conciliare questi due aspetti e fornire almeno un punto di vista nuovo sulla dicotomia che rende così interessante la figura di Steve Jobs, allora avremo un nuovo pezzo interessante da aggiungere alla lunga lista di opere sul co-fondatore Apple. Se al contrario questo contrasto è solo un facile mezzo per rendere più accattivante e controverso un documentario che non aggiunge nulla di nuovo alla lettura della sfinge Jobsiana, allora ci sta che Eddy Cue non avesse poi tutti i torti.
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“una serie di piccolezze umane che hanno macchiato gli anni giovanili di Steve Jobs”. tra le piccolezze c’e’ da ricordare il mancato riconoscimento di sua figlia, di aver girato le spalle agli amici che hanno aiutato a creare apple. ogni persona ha il suo lato oscuro, steve jobs non e’ un santo e forse neache un genio. e’ un uomo che ha inseguito un sogno e’ c’e’ riuscito. poi visto da diverse prospettive puo incutere soggezione o ammirazione. forse e’ quello che voleva. in tutti i documentari o film a partire da “i pirati di silicon valley” e’ stato sempre dipinto come eccentrico, burbero a volte offensivo. prima di dare giudizi comunqu e’ meglio vedere il documentario
Direi che sono piccolezze, nel senso che rendono "piccola" una persona che invece per altri versi è stato uno dei più grandi in assoluto.
Sul giudizio, ovvio che va visto, ma se questo contrasto di cui sopra è usato solo come un facile stratagemma narrativo, ci sarà poco che non sia già visto. Questo era il punto per me ;)
sono d’accordo. vorrei fare solo una distinzione di quel che fu steve jobs come imprenditore e nella sua vita privata. ma si sa i geni a volte sono persone profonde e difficili da capire. il centro di tutti questi documentari sono proprio per scavare a fondo nella personalita di steve jobs. forse nessuno lo conosce fino in fondo e forse nessun documentario o film potra' dare una idea della sua vera personalità.