Designer del NYT Magazine assunto come direttore creativo al marketing di Apple

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Il New York Times Magazine è una rivista settimanale che viene venduta in abbinato a quello che è certamente il più noto quotidiano del mondo. Oltre ad essere noto per i suoi ricchissimi contenuti, il New York Times Magazine ha lasciato anche il segno per le sue caratteristiche copertine, ideate da Arem Duplessis. Il professionista del design che, da qualche giorno, lavora per Apple come direttore creativo del team Marketing.

Blacklist: come Apple manipola la stampa

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Apple ha una lista nera della stampa. Contiene i nomi di persone o siti che sono ignorati da Apple per non essere stati leali alla compagnia. È una vera e propria punizione. I giornalisti, gli editorialisti e le celebrità il cui nome compare sulla blacklist non possono accedere a informazioni, prodotti ed eventi, se non quando ci può accedere il grande pubblico.

iPad mini, ora ne parla anche il New York Times

Ancora iPad mini. Dopo i report pubblicati dal Wall Street Journal e da Bloomberg, secondo i quali Apple starebbe preparando un iPad da quasi 8 pollici da lanciare in vista del periodo natalizio, adesso anche il New York Times si aggiunge al coro e suggerisce che un nuovo tablet Apple più piccolo e meno costoso arriverà presto sul mercato.

Il New York Times pubblica un’inchiesta sui dipendenti degli Apple Store

Il New York Times torna ad occuparsi di Apple e lo fa con un’inchiesta su quello che chiama “l’esercito Retail” di Cupertino, ovvero i dipendenti degli Apple Store, e i loro salari.
E’ un articolo molto interessante, denso di numeri e fatti, che tuttavia, come da copione, muove da un punto di vista controverso: la sproporzione fra ciò che gli Apple Store incassano e la paga di chi contribuisce a vendere i prodotti del brand.

Apple e le tasse, nuova inchiesta del New York Times

Il New York Times torna a mettere Apple sulla graticola. Al centro di una nuova inchiesta del quotidiano questa volta non ci sono le condizioni dei lavoratori cinesi che producono i gadget Apple, bensì le pratiche che l’azienda mette in atto per riuscire a pagare la minor quantità di tasse possibili.
Nulla di illegale, sia ben chiaro: quelli descritti dal NYT sono metodi perfettamente legali basati sull’uso di sedi distaccate in stati diversi dalla California e all’estero, principalmente. Ma il sistema creato da Apple, dicono i giornalisti, è talmente complesso e “raffinato” che molte altre grandi corporation hanno preso spunto per mettere in piedi soluzioni analoghe.

E’ per questo, del resto, che il NYT ancora una volta prende volutamente Apple ad esempio di una pratica molto diffusa negli ambienti della Corporate America.
L’azienda si è subito difesa facendo notare che la quantità di tasse che paga ogni anno negli States è comunque altissima (e notevoli sono anche pagate dai dipendenti, dirigenti con pacchetti azionari in primis) e che grazie al proprio business di successo ha creato più di 500.000 posti di lavoro, fra dipendenti diretti e indotto.

Il costo umano della produzione dell’iPad

Qualche mese fa alcuni reporter del New York Times hanno accettato un difficile compito: la realizzazione un’inchiesta sulle condizioni dei lavoratori cinesi che producono gli iPhone, gli iPad e molti altri gadget elettronici e computer che milioni di utenti occidentali utilizzano ogni giorno.
Un’inchiesta diversa da tutte le altre che finora abbiamo letto e che in gran parte erano basate su report di seconda mano, un’inchiesta che entrasse davvero nelle fabbriche e potesse mettere assieme le testimonianze di fonti vicine alle aziende fornitrici.

Il primo frutto di questo difficile “assignement” è un articolo sul perché Apple e altre aziende scelgono di produrre in Cina i propri gadget, comparso sulle pagine del New York Times qualche giorno fa. Ne abbiamo parlato dettagliatamente nel nostro articolo “Perchè Apple costruisce i suoi iPhone in Cina”.

Ieri il NYTimes ha pubblicato la seconda “puntata“, che parla più direttamente dei costi umani di quella produzione. E’ un articolo duro ma equilibrato (vero capolavoro del miglior giornalismo d’inchiesta americano) secondo il quale Apple, per quanto sinceramente attenta alle tematiche del lavoro in Cina, non esita in ogni caso a forzare condizioni contrattuali che innescano violazioni e soprusi.

UPDATE: Tim Cook ha risposto con una mail interna ai dipendenti (che è prontamente trapelata). Dettagli a fondo articolo.

Perché Apple costruisce i suoi iPhone in Cina?

La scorsa settimana, durante un dibattito alla CNN fra i principali candidati repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti, l’ex Governatore della Pennsylvania Rick Santorum ha esposto il piano che metterebbe in pratica, se fosse eletto Presidente, per convincere Apple a riportare in patria la produzione dei propri prodotti, un processo che ad oggi crea un indotto da più di 500.000 posti di lavoro. In Cina.

“Apple, hai tutti questi dipendenti laggiù e generi tutti questi profitti all’estero”, ha detto Santorum.“Se voi riportare in patria quei soldi ora paghi il 35% di tasse. Con il nostro piano, se porti qui i soldi e investi in fabbriche e strumentazioni qui a Charleston, non paghi nulla. Se metti quei soldi nella creazione di lavoro, se li investi, non paghi nulla. E’ un incentivo potente”.

Un incentivo potente, senza dubbio. Ma anche un incentivo totalmente sbagliato. Una ragione molto semplice per capire come mai il “piano perfetto” di Santorum non potrebbe funzionare lo fornisce indirettamente il New York Times con un’interessantissima inchiesta che dimostra perché Apple (che è il caso di studio preso ad esempio) e molte altre aziende americane non possono fare altro che rivolgersi alle aziende cinesi per la produzione dei gadget che vanno forte sul mercato americano. Spoiler: non è un problema di tasse o semplicemente di costo del lavoro, è un problema di flessibilità, scalabilità estrema e disponibilità di manodopera.

Apple.com tra i quindici siti più visitati d’America


Il sito di Apple è una vetrina per la compagnia e un importante strumento per i suoi clienti. Da Apple.com è infatti possibile scoprire i dettagli degli ultimi prodotti lanciati dalla compagnia di Cupertino o ricevere supporto tecnico per i propri iDevice e Mac, oltre che effettuare acquisti nella sicurezza e nella rapidità dell’Apple Online Store, sapendo di avere un diretto contatto con la compagnia che produce i dispositivi che si stanno utilizzando.

Una recente classifica stilata da Media Metrix durante lo scorso mese e pubblicata da comScore ha evidenziato che il sito di Apple ha attirato oltre 79 milioni di visitatori unici solo durante novembre, poco meno del popolare sito del New York Times.

Il Financial Times non approva le sottoscrizioni per iPad

Non è stato semplice per Apple riuscire a trovare gli accordi con gli editori per la presentazione del servizio di in-app subscription, che permette agli utenti di abbonarsi ai contenuti offerti in maniera automatica all’interno delle app per iPad. Nonostante le lunghe trattative c’è chi, come il Financial Times, non è ancora soddisfatto di quanto offerto dall’azienda di Cupertino.

A differenza di quanto fatto, ad esempio, dal New York Times (che ha colto la palla al balzo), l’importante giornale finanziario è ancora insoddisfatto di come Apple ha deciso di (non) gestire le informazioni degli abbonati nei confronti degli editori. Secondo quanto riportato da Reuters, infatti, i dirigenti del Financial Times non sono disposti a perdere il contatto diretto con i propri abbonati, poiché è il fulcro centrale del loro modello di business.

Bye bye iPhone nano

Il Wall Street Journal mi fè, disfecemi il New York Times: il povero iPhone nano non ha superato la settimana di vita. Dopo diversi giorni di report e indiscrezioni su una versione ridotta del melafonino che Apple si appresterebbe a lanciare presto, ora che è finito il Mobile World Congress di Barcellona tutto rientra e si sgombra il campo da improbabili illazioni su un prodotto che a questi punti forse mai esisterà.

A calare la scure sul povero iPhonino ci pensa per l’appunto il New York Times con un articolo di Nick Bilton e Miguel Helft che contraddice in pieno quanto pubblicato nei giorni scorsi: Apple sta lavorando alacremente per portare a termine il successore dell’iPhone 4 e non ad un telefono più piccolo. Ma c’è la conferma di un nuovo MobileMe.

Apple blocca un’app di Sony per e-reading, cosa ne sarà di Kindle?

Nella giornata di oggi sono emerse diverse notizie a proposito del rifiuto di un’app progettata da Sony per la lettura di libri digitali poiché non prevede l’acquisto dei contenuti tramite il sistema in-app purchase. La reazione, probabilmente frettolosa, di molti blog e siti del Mac Web è stata quella di giungere alla conclusione che presto la stessa sorte spetterà alla simile app di Amazon, Kindle, che non prevede l’acquisto dei contenuti all’interno dell’app stessa (bypassando il 30% di ritenute da parte di Apple).

Tutto nasce da un articolo pubblicato in giornata dal New York Times nel quale si può leggere che “Apple ha rifiutato un’applicazione per iPhone di Sony che avrebbe permesso alle persone di comprare e leggere e-book dal Sony Reader Store. Apple ha comunicato a Sony che da adesso, tutti gli acquisti all’interno dell’app devono passare attraverso Apple, ha detto Steve Haber, Presidente della divisione di lettura digitale di Sony”.

Tim Cook, il profilo sul New York Times

Il New York Times ha pubblicato un interessante profilo di Tim Cook. Il Chief Operative Officer di Apple ha preso ancora una volta le redini mentre l’iCEO è assente per questioni di salute ed è dunque comprensibile l’attenzione mediatica verso colui che con ogni probabilità è destinato a diventare il prossimo Amministratore Delegato di Apple.

L’articolo è denso di particolari, ma in buona misura il succo si può riassumere in un a singola frase: Tim Cook è letteralmente devoto all’azienda ed è un instancabile genio del reparto operativo, anche se manca dello spirito creativo che invece contraddistingue Steve Jobs.

Hipstamatic e la prima pagina del New York Times

Ieri la prima pagina del New York Times ospitava un reportage di guerra dal Nord dell’Afghanistan. Ad illustrare il pezzo, quattro bellissime fotografie scattate dal fotoreporter Damon Winter. La strana grana degli scatti e gli effetti usati potevano far pensare a qualche strano obiettivo à la Lensbaby montato su avanzatissime fotocamere digitali. Niente di tutto ciò. Damon Winer per il suo servizio sul primo battaglione dell’87esimo Fanteria ha scelto di utilizzare il suo iPhone 4 e la famosa applicazione Hipstamatic. Utile riprova del fatto che la qualità della foto non la fa la macchina fotografica, quanto il fotografo.

App week: NYT per iPad, finalmente con contenuti ad hoc

iPad strumento “magico e rivoluzionario” (come più volte è definito e presentato ufficialmente al mondo intero), che ha cambiato il modo di fruire e presentare contenuti di ogni genere. Ad oggi sembra fin troppo facile pensarlo e dirlo, ma quanti ci hanno sin da subito creduto? Pochi.

Tra questi, forse, non figuravano nemmeno gli editori del New York Times, quando a pochi giorni di distanza del lancio ufficiale del tablet della Mela avevano pubblicato la propria applicazione. Sicuramente una discreta app (non al livello di quella rilasciata per iPhone): ottima interfaccia, usabile e ben progettata, che ha comunque riscosso un buon successo (scaricata oltre 650.000 volte), ma che non ha mai soddisfatto a pieno le esigenze dei lettori.

Come sarebbe oggi Apple se Jobs non si fosse dimesso nel 1985?

Il New York Times di oggi propone un interessante articolo scritto da Randall Stross, professore di economia presso la San Jose State University, a proposito delle dimissioni di Steve Jobs da Apple nel 1985.

Se Jobs non avesse lasciato Apple nel 1985 e se avesse convinto il Consiglio di Amministrazione dell’azienda ad espellere John Sculley (l’allora CEO di Apple), “Sotto la direzione ininterrotta del Sig. Jobs, Apple sarebbe arrivata alla vetta raggiunta oggi, ma con dodici anni di anticipo”?

Rupert Murdoch ci prova: un giornale solo per iPad e smartphone

Il magnate dell'editoria Rupert Murdoch

Il magnate dell'editoria Rupert Murdoch

Testate giornalistiche di tutto il mondo hanno già da tempo aggiornato, o meglio, esteso i loro confini ben oltre le edicole e i canali di distribuzione tradizionali: l’arrivo del tablet della Mela ha indubbiamente velocizzato e ingigantito tale processo. Rupert Murdoch magnate dell’informazione australiano e proprietario di News Corp ha deciso di andare oltre e sfidare apertamente le testate concorrenti come il New York TimesUsaToday lanciando negli States un nuovo quotidiano nazionale che sarà distribuito (ovviamente a pagamento) esclusivamente su iPad e smartphone.

NYT: il problema dell’antenna di iPhone 4 è software

Dopo Bloomberg BusinessWeek e il Wall Street Journal, ora anche il New York Times dice la sua sul fatto che Apple potesse sapere o meno dei problemi di ricezione dell’antenna prima della commercializzazione dell’iPhone 4.

Secondo un articolo pubblicato ieri su BusinessWeek, Steve Jobs sarebbe stato personalmente avvertito un anno fa da un ingegnere Apple delle possibili complicanze derivanti dall’uso di un’antenna esterna come quella dell’iPhone 4. Successivamente il WSJ aveva contraddetto i colleghi, scongiurando per altro l’ipotesi di un recall, e citando un commento ufficiale con cui Apple, di fatto, dava dei bugiardi ai reporter di Bloomberg.

Anche il nuovo articolo del New York Times va in questa direzione e smentisce il report originale di Bloomberg. Secondo la fonte di Miguel Heft, autore del pezzo, il problema della death grip sarebbe risolvibile via software.

iPhone 4 dovrà affrontare l’aumento dei costi di produzione

Da un’interessante indagine condotta dal New York Times emerge che i produttori di hardware asiatici, tra cui Foxconn (uno dei maggiori partner di Apple), stanno lottando contro l’aumento dei costi di produzione in Cina, in modo da mantenere la competitività e un certo margine di profitto nel mercato attuale.

L’analisi condotta dal New York Times prende come esempio il nuovo arrivato iPhone 4, il quale dovrà affrontare i crescenti costi di produzione delle aziende asiatiche, soprattutto cinesi. Come viene sottolineato nell’articolo, le cause di questo fenomeno sono da attribuire a diversi fattori, tra cui “l’aumento del costo della manodopera causato dalla carenza di operai e dal disagio, l’emergente moneta cinese che rende le esportazioni più costose, l’inflazione e i crescenti costi di housing”, che potrebbero determinare un aumento significativo dei prezzi di produzione per tutte le aziende che vendono prodotti elettronici come Apple.

DOJ: l’inchiesta su Apple va oltre la musica

In base a quanto appreso da una fonte anonima che si è rivolta al New York Post, l’indagine iniziata ad inizio settimana dal Department of Justice (DOJ) statunitense nei confronti di Apple non si limita al settore musicale.

All’inizio della settimana scorsa, il New York Times riportava che il Dipartimento di Giustizia americano ha intrapreso un’inchiesta informale per indagare sulle strategie impiegate dall’azienda di Cupertino nel mondo della musica. In base alla notizia, lo scopo principale degli investigatori è cercare di capire se Apple abbia o meno fatto pressioni nei confronti di Sony Music Entertainment e di EMI per indurle a cessare la collaborazione con Amazon, uno dei maggiori concorrenti di Apple nel settore della musica digitale. Le indagini sono ancora all’inizio e gli inquirenti sono ancora in cerca di eventuali prove a riguardo.

Yep! Il giro del Web in tre lettere

Si può fare il giro del web, in una girandola di citazioni congiunte, grazie a tre semplici lettere? La risposta è sì, se quelle tre lettere sono una “Y”, una “e” ed una “p” e te le ha scritte tale Steve da Cupertino usando il suo iPad. E’ esattamente quello che è capitato a TAL e al sottoscritto questa settimana. Si, ci aspettavamo che il Mac Web si interessasse alla cosa. Non ci aspettavamo però che pure la stampa tecnologica statunitense venisse a chiederci informazioni sulla semplice risposta di El Jobso.
Stiamo forse indulgendo un po’ troppo ad una spudorata auto-celebrazione? E che diamine, certo che si! Per due motivi:

  1. Non capita tutti i giorni che Steve Jobs ti risponda.
  2. Non capita tutti i giorni di finire citati sul New York Times e sul Los Angeles Times per questo.

iPad: eBook best seller a 9,99 dollari?

Secondo quanto riportato da MacRumors, App Advice avrebbe avuto la possibilità di consultare in anteprima, all’inizio di questa settimana, l’applicazione nativa iBookstore per iPad, che come saprete sicuramente permetterà di consultare testi in formato digitale. App Advice potrebbe essere tra i fortunati ad aver ricevuto un esemplare di iPad in anteprima, come avevamo avuto modo di informarvi precedentemente su TAL.

In base a quanto compare nel relativo post, la maggior parte dei titoli best seller provenienti dal New York Times potranno essere acquistati per soli 9,99 dollari, in piena competizione con il diretto concorrente Kindle Store di Amazon.

Il fondatore di PA Semi ha lasciato Apple?

Dan Dobberpuhl, fondatore e CEO di PA Semi prima che l’azienda fosse acquisita da Apple, avrebbe lasciato Cupertino per iniziare una nuova avventura in una startup sempre legata al settore della produzione di circuiti integrati.

La scelta di Dobberpuhl sarebbe stata condivisa anche da altri membri del team di PA Semi tra cui Mark Hayter, uno degli elementi chiave prima che l’azienda diventasse parte integrante di Apple.