Ski Crazed uscì nel 1986 per Apple II. Lo scopo del gioco era completare un certo numero di discese giù dal monte Kilimanjaro per poi affrontare la temutissima pista “Oh La La”, la più difficile di tutte. Secondo le dichiarazioni dei suoi creatori Andy Gavin e Jason Rubin, Ski Crazed «fallì completamente nel suo tentativo di ricreare la magia dello sci»: e in effetti lo si può ben credere, a guardare oggi questo goffo videogame a scorrimento verticale con gobbe irriconoscibili e sprite software che chiamare «spartani» è un eufemismo.
Ciononostante, Rubin e Gavin non si scoraggiarono e andarono avanti. Passarono dall’Apple II all’Apple IIgs, il computer di Cupertino «fatto per giocare» che per qualche tempo sbaragliò perfino la concorrenza interna del primo Macintosh, e aggiunsero saggiamente il supporto per Amiga e MS-DOS. Il titolo successivo del duo fu Dream Zone, una curiosa avventura grafica ambientata nel mondo dei sogni con elementi fotorealistici (beh, per il 1988) che vendette piuttosto bene: 10.000 copie, che fruttarono agli sviluppatori un profitto netto di 15.000 dollari. Poi venne il turno di Keef the Thief, proto-rpg semidemenziale come andava di moda nel periodo (sono gli anni del primo Leisure Suit Larry) che Gavin e Rubin fecero distribuire alla Electronic Arts.
Nel frattempo avevano cambiato nome alla loro piccola società di software: da Jam Software a Naughty Dog, e a questo punto avrete già capito come va a finire la storia. Avanti veloce: Rings of Power per Mega Drive, il violentissimo – e orrendo, siamo sinceri – Way of the Warrior e poi l’approdo alla neonata PlayStation, con Crash Bandicoot e il successo mondiale. Ancora plauso di critica e pubblico per la serie di Jak and Daxter e poi, per la PS3, quattro best-seller assoluti: i tre Uncharted e The Last of Us, miglior gioco del 2013 un po’ per tutti, almeno a giudicare dall’impressionante quantità di premi ricevuti.
L’aneddoto serve a capire almeno due cose. Uno: anche i giganti hanno avuto un’infanzia, e non sempre fatta di successi straordinari. Due: Cupertino è stata la culla e l’asilo per molti di questi giovani sviluppatori (un’altra storia che si potrebbe raccontare è quella di Jordan Mechner e l’embrione di Prince of Persia, Karateka, ma ce ne sono davvero decine). Chiunque possedesse un Macintosh negli anni Novanta, quando il dominio di Windows si fece sempre più brutale, senz’altro si ricorderà la litania ripetuta dagli amici possessori di un PC: «Col Mac non si gioca». Il che non era del tutto vero: si giocava solo in maniera diversa, con piccoli gioiellini che conoscevamo solo noi o quasi, ma dalla grafica curatissima (un nome su tutti: Dark Castle). Ahimè, erano pochini. La situazione andò peggiorando negli anni successivi, quando gli sviluppatori smisero di produrre giochi apposta per il Macintosh, e per molto tempo ci si dovette basare sull’opera pia di chi faceva porting dei titoli PC. «Aspyr» divenne una parola sussurrata con infinita gratitudine.
Com’è la situazione agli inizi del 2014? Tutto sommato abbastanza buona. Grazie a Steam ed altre piattaforme di distribuzione, una discreta parte dei giochi più importanti che escono per i cugini di Windows arrivano anche su OS X, e in ogni caso c’è sempre BootCamp. Ma sarebbe sciocco negare come gran parte del gaming, oggi, si faccia su dispositivi mobile; e cioè, per una consistente fetta, su iOS. Per una volta insomma Apple si è trovata nell’insolita situazione di avere almeno per qualche anno il sistema operativo più indicato per videogiochi, anche se in versione mobile, e ha capitalizzato questo vantaggio. Oggi è quasi impossibile che un titolo mobile di successo non sia disponibile per iPhone, mentre non vale il contrario per Android.
Ma c’è anche dell’altro: da una parte il retro-gaming che si è fatto più sofisticato, non limitandosi agli emulatori ma ripulendo e arricchendo titoli tutto sommato abbastanza recenti, come la serie dei Baldur’s Gate Enhanced Edition; e l’esplosione dei giochi indie, che rappresentano in un certo senso la versione artistoide degli Ski Crazed e dei Karateka di venti o trent’anni fa.
Com’è accaduto per la musica, sulla definizione di «indie» come estetica e non solo come struttura societaria si potrebbe dibattere a lungo. Fatto sta che dietro a The Last of Us nelle liste dei migliori giochi dell’anno scorso (anche in quella di Lorenzo) compaiono titoli con gameplay molto particolari e che non si curano, e anzi, un po’ si bullano, della grafica con pixel a vista. Minecraft è stato forse il precursore, oggi ci sono Papers, Please, Don’t Starve, The Stanley Parable, Gone Home e tanti altri, per non citare capolavori del recente passato disponibili anche su Mac App Store come Braid. I Jason Rorher diventano celebrità e il mantra ripetuto dalla new wave del gaming è narrazione, narrazione, narrazione.
Ecco, buona parte di questi titoli oggi passa per iOS e OS X. L’Independent Games Festival di San Francisco, una delle più importanti rassegne del settore, quest’anno esibisce una quantità sorprendente di giochi nati per essere giocati su iPhone, iPad e Mac. Fra i candidati ci sono infatti gioiellini come Device 6 per iOS, il thriller narrativo (appunto) in lizza per vincere i premi per Excellence in Visual Art, Excellence in Narrative, Excellence in Audio e il più importante di tutti, il Seumas McNally Grand Prize. Ma c’è spazio anche per iPad con lo stranissimo Dominique Pamplemousse in “It’s All Over Once The Fat Lady Sings!”, musical in stop motion che affronta il tema dei ruoli di genere, e per OS X con i già citati Papers, Please, The Stanley Parable e Don’t Starve, quest’ultimo una curiosa via di mezzo tra Farmville e qualche incubo uscito dalla testa di Tim Burton. E sempre per la serie «se sono normali non li vogliamo», grande attesa anche per uno dei titoli candidati ma ancora in pre-order: Crypt of the NecroDancer, che si può definire come l’intramontabile Rogue (che su Mac si chiamava Moria o Angband) incrociato con Dance Dance Revolution. Date un’occhiata al trailer, se non ci credete.
Insomma: forse qualcosa è cambiato, e la concorrenza asfissiante di console, tablet e smartphone sta spostando gli equilibri. Però sono ancora triste, perché The Yawhg è solo per PC.