A Dark Room, la recensione

Nome: A Dark Room – Produttore: Amir Rajan
Dimensione: 7.1 MB – Prezzo: 0,89 €
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It is pitch black. You are likely to be eaten by a grue. Nessuno ha mai capito con precisione che cosa fosse un/una grue, ma la Infocom negli anni ci ha scherzato sopra con dettagli vaghi e minacciosi: “zanne bavose”, “artigli affilati come rasoi”, “orribili suoni gorgoglianti”. Eppure è stato per anni l’incubo di tutti gli avventurieri di Zork – il più famoso videogame testuale della storia – capitati incautamente in una zona buia senza lampade né torce nello zaino.

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Personalmente l’assonanza con la parola glue mi ha sempre fatto pensare a qualcosa di molto appiccicoso e viscido, ma proprio il fatto che nessuno potesse descrivere l’ignota bestia con precisione, unito al british humour di cui la serie di Zork è intrisa fin dal primo capitolo, ha fatto diventare il/la grue un riferimento pop di grande successo, da Spongebob al rapper nerdcore MC Frontalot (“You are likely to be eaten by a grue./If this predicament seems particularly cruel,/consider whose fault it could be:/not a torch or a match in your inventory”). Almeno parzialmente è il fascino della parola e del non visto, che se usato con abilità può essere più efficace di effetti grafici anche parecchio sofisticati. Chiedetelo a chi ha girato The Blair Witch Project e con un budget di 25.000 dollari ne ha tirati su quasi duecentocinquanta milioni.

Ecco, A dark room è costato probabilmente molto, molto meno ed è – con buona pace di Jep Gambardella – un gioco abile: quasi un esercizio di stile, anche nella sua genesi. Diventare il gioco più venduto sullo store iPhone statunitense resuscitando l’avventura testuale già è abbastanza improbabile, farlo grazie alla collaborazione di due tizi che non si sono mai visti in faccia di persona – e che tuttavia sembrano condividere un’ottica sulla vita sottilmente triste e introversa – rasenta l’impossibile.

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A dark room nasce infatti dal’idea di un ingegnere canadese, Michael Townsend, che dai tempi del suo primo 386 si diverte a programmare videogiochi per diletto, in modo amatoriale. Stuzzicato da un curioso browser game in ASCII art chiamato Candy Box realizzato nell’aprile 2013 da un ragazzo francese di diciannove anni, Townsend decide di cimentarsi a sua volta in qualcosa del genere. Mette insieme una prima bozza dell’idea e dell’interfaccia e la posta sui social network. Da qui l’embrione del gioco arriva fino ad Hacker News, dove – come ha raccontato Cult of Mac – viene notato da uno sviluppatore di Dallas, Amir Rajan, che si è preso un anno sabbatico dopo otto anni di lavoro nell’industria software, intenzionato a trovare la propria strada da solo, e ha venduto quasi tutto quello che possiede per ridurre i costi e poter scegliere con calma un progetto interessante. Amir e Michael si scambiano mail, si trovano sulla stessa lunghezza d’onda. Cominciano a collaborare, con il primo che ancora non conosce bene la programmazione su iOS e nei cinque mesi successivi un po’ impara come si fa e un po’ mette insieme il gioco. «È molto difficile tradurre una poesia da un linguaggio all’altro», ha detto Amir. «Credo che fare il porting di A dark room per iOS sia stata un’impresa simile». Terminata l’applicazione, Amir per i mesi successivi si mette a fare autopromozione selvaggia da Twitter a Reddit, anche se ancora non sa spiegarsi esattamente quando sia scattato quel qualcosa che ha sancito il successo del gioco, facendo aumentare i donwload in modo esponenziale. Oggi A dark room fattura quasi diecimila dollari al giorno. I due non si sono ancora incontrati.

L’avventura di A dark room inizia, come si può intuire dal titolo, in una stanza buia. Il protagonista (di cui non sapremo mai né nome né origini né niente) si sveglia con la testa che pulsa e la vista offuscata. La stanza è fredda. C’è solo una possibilità: accendere il fuoco che è in un angolo, spento. La schermata, da nera che è, comincia a rischiararsi, fin quando non arriva uno straniero barcollante (scopriremo più avanti che è una donna) che crolla non appena varcata la soglia. C’è anche una foresta silenziosa dove si può raccogliere altra legna per il fuoco, in modo da far riprendere i sensi alla nostra ospite…

Apparentemente il gioco non fa nulla per catturare l’interesse del giocatore. Definire “spartana” la grafica è dire poco: solo testo, con pulsanti che permettono di compiere determinate azioni ripetibili quando si è esaurito il relativo timer, una semplice barra che da grigia diventa blu. Non ci sono acquisti in-app per velocizzare le cose, non c’è suono, non si muore. Eppure il gioco attira, eccome: man mano che si va avanti le opzioni aumentano, e A dark room si trasforma rapidamente in un gestionale text-based (più comodo nella versione iPad che quella per iPhone, a dire il vero). Ma il segreto sta, forse, proprio in quello che non si sa e non si vede: l’atmosfera misteriosa e vagamente apocalittica del gioco, punteggiata da osservazioni amare sul destino dell’uomo e da eventi che alludono sia a un triste passato che a un futuro ignoto e minaccioso, uniti alla crescente megalomania del protagonista.

E proprio come Candy Box, A dark room cresce col tempo. Senza esagerare con gli spoiler, il gioco contiene un rpg ASCII ispirato a quel capolavoro che fu Rogue (forse la parte più coinvolgente, dove l’obiettivo è l’intramontabile chiave di volta di ogni videogame che si rispetti: migliorare il proprio equipaggiamento per ammazzare più facilmente i nemici) e perfino un semplice sparatutto a scorrimento verticale, à la Xevious. Il segreto della sua longevità sta tutto qui, nel suo suggerire che ci sia sempre qualcosa più avanti, se si continua a raccogliere legna e a costruire capanne. Ce n’è a sufficienza per qualche ora di divertimento (di norma da tre a cinque) e massime esistenzialiste sull’eterno ritorno, e il tutto è rigiocabile in una versione leggermente più difficile. Non è un titolo per tutti, e le recensioni controverse sullo store italiano e quello americano stanno a testimoniarlo, ma è difficile negare che abbia una sua personalità in grado di renderlo diverso da ogni altro gioco presente per iOS. Non si può chiedere molto di più per 0,89 €, e se volete dare un’occhiata gratis c’è anche la vecchia versione browser.

4 commenti su “A Dark Room, la recensione”

    • @Simone: Solo in inglese, purtroppo. (In compenso Candy Box 2, che è carino già di suo, è localizzato quasi in tutte le lingue)

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