Il software è gratuito e compatibile con Mac OS X Snow Leopard e OS X Lion. Lo abbiamo messo alla prova per capire, in primis, quali caratteristiche offra in confronto con Dropbox, diffusissimo “pioniere” del settore.
L’installazione di CloudDrive, che potete scaricare da questa pagina sul sito di Amazon, è semplice e molto banale. Copiate l’app nella vostra cartella applicazioni e avviatela.
Verrete accolti da un pannello di accesso nel quale dovrete inserire le vostre credenziali Amazon, le stesse che utilizzate per fare acquisti online dal mega-shop online di Jeff Bezos.
Una volta collegati l’app vi guiderà attraverso un rapido wizard che illustra le poche e semplici funzioni dell’applicazione.
Quattro clic su “Next” e siete pronti per utilizzare CloudDrive. L’applicazione attiva una piccola icona nella menu bar, la cui forma assai poco fantasiosa è quella di una nuvola.
A differenza di quanto fa Dropbox, Cloud Drive non attiva una cartella specifica in cui posizionare i file da condividere fra più dispositivi. Per caricare un elemento nel proprio spazio online è necessario trascinarlo sull’icona, lassù in alto, oppure fare clic con il tasto destro sul file e selezionare “Upload To Cloud Drive”. Attenzione però: anche se la microguida iniziale non ne fa menzione, per poter usare l’opzione dal menu contestuale sarà necessario riavviare il Mac.
La rapidità dell’upload dei file dipende naturalmente dalla connessione che avete a disposizione. Su una 4Mbit paritaria come quella su cui ho provato CloudDrive e Dropbox è davvero difficile notare differenze sostanziali nei tempi di caricamento.
Il download dei file dal CloudDrive è la vera nota dolente, perché in questo caso tutto ciò che ci viene offerto dall’iconcina presente sulla barra dei menu è un semplice link rapido alla versione browser del servizio. Da qui i file vanno selezionati e successivamente scaricati.
E’ abbastanza evidente che si tratta di un sistema macchinoso che non può reggere il confronto con il ben più intuitivo e semplice “modello del forziere magico”, implementato da Dropbox, che provvede ad aggiornare costantemente tutto ciò che viene posizionato nell’apposita cartella.
S’aggiunga che la soluzione scelta da Amazon esclude la possibilità di utilizzare il servizio per tenere i propri file costantemente sincronizzati fra dispositivi, dato che ad ogni cambiamento dell’elemento locale non corrisponde alcun aggiornamento della copia remota. E’ una caratteristica che limita fortemente l’utilità del servizio di Amazon e lo relega al ruolo di servizio secondario, utile forse per la condivisione di file di grandi dimensioni qualora non si voglia occupare inutilmente spazio su Dropbox.
Non è ben chiaro il motivo per cui Amazon abbia deciso di percorrere questa strada ibrida, se per scelta o per qualche motivo tecnico. Fatto sta che allo stato attuale CloudDrive non si candida in alcun modo, almeno per il sottoscritto, a sostituire Dropbox.
Di buono, va detto, ci sono i prezzi proposti da Amazon per lo spazio aggiuntivo, da sottoscrivere su base annuale. Il costo segue uno schema molto semplice di un dollaro a GB e l’offerta prevede pacchetti di 20, 50, 100, 200, 500 e 1000 GB. Molto meno di quanto richiesto proprio da Dropbox ma comunque più di quanto preveda invece il listino di SkyDrive, analogo servizio di Microsoft che per 20, 50 o 100GB aggiuntivi chiede rispettivamente 10, 25 e 50$.