Un minatore congolese lavora all’estrazione del Coltan. Credits: Vice
Delly Mawazo Sesete è un’attivista congolese che da anni si batte per portare all’attenzione dei media il problema dell’utilizzo nei prodotti elettronici di minerali e metalli provenienti da regioni della Repubblica Democratica del Congo dove i conflitti per il potere sulle miniere e sull’estrazione portano all’uccisione, alla tortura e alla deportazione di migliaia di persone ogni anno.
Sesete ha aperto di recente una petizione online per chiedere direttamente al CEO Apple Tim Cook l’impegno a realizzare entro il Natale del 2013 una versione dell’iPhone (e degli altri prodotti Apple) che possa dirsi totalmente conflict-free e che utilizzi dunque tantalio, stagno, tungsteno e oro che non provengano da miniere ed estrattori che operano sotto il comando delle fazioni armate.
Gli oneri del successo
Il ruolo di grande potenza mondiale nel settore dell’elettronica di consumo e il valore di un brand costruito nel tempo su una narrativa fatta di continuo raffinamento del prodotto, coerenza ai messaggi del marketing, attenzione ai dettagli e soprattutto cura meticolosa e scientifica del rapporto con i media, sono elementi su cui Apple ha costruito la propria fortuna recente.
Tali elementi e l’esposizione continua di cui gode l’azienda comportano però un effetto collaterale: Apple è spesso il rappresentate designato e involontario di nefandezze più o meno gravi che possono essere attribuite all’intero settore.
E’ vero per gli “scandali” (si prendano ad esempio il locationgate o l’antennagate) ed è vero anche nel caso di campagne di sensibilizzazione su grandi temi etici o ambientali.
Le organizzazioni no-profit come ad esempio Greenpeace, che non sono affatto digiune di marketing, sanno bene che fare il nome di Apple come primo referente di una campagna è un viatico sicuro per approdare senza fatica nelle pagine delle maggiori pubblicazioni, anche al di fuori del settore.
Sebbene in alcuni casi questo metodo possa rivelarsi una facile scorciatoia che indebolisce l’integrità di una campagna, il caso di Sesete è differente, non fosse altro perché il tema è davvero di quelli scottanti ma anche e soprattutto perché l’attivista chiede qualcosa di ben preciso: non di dirottare le forniture altrove ma di supportare, nella regione Est del Congo, quella ricca di miniere, i fornitori che operano nella legalità e non basano il proprio profitto sul genocidio e sullo sfruttamento della popolazione. In questo modo la ricchezza prodotta dalle risorse potrà forse aiutare davvero le comunità congolesi che ad oggi sono depredate da chi poi fa affari con i grandi produttori.
La catena è lunga e certamente non è facile applicare un meticoloso controllo sulle forniture in un area “complicata” come la regione Est della Repubblica Democratica del Congo.
Supplier Responsibility e minerali Conflict-Free
Tuttavia l’appello di Sesete, che ha già raccolto circa 52.000 firme nel momento in cui scrivo, non sembra destinato a cadere nel vuoto. Anzi, insiste su un argomento che Apple ha affrontato esplicitamente nel suo rapporto 2011 sulla Supplier Responsibility (link PDF – passaggio a pagina 11 e 12).
Nel 2010 Apple ha avviato un processo per la “mappatura” della base di fornitura Apple, in modo che sia possibile ottenere il dettaglio degli estrattori che ottengono i minerali da cui ricavano i metalli solo ed esclusivamente da miniere “conflict-free”. Lo scopo finale è quello di istituire, assieme ai fornitori e in collaborazione con un consorzio patrocinato da EICC (Electronic Industry Citizenship Coalition) e GeSI, un protocollo di audit per i fornitori di metalli simile a quello che Apple già utilizza per il controllo dei produttori finali cinesi.
Sappiamo bene che nonostante questi protocolli siano in vigore già da tempo e Apple dichiari di essere in prima linea per garantire condizioni di lavoro ottimali per i dipendenti di Foxconn e degli altri produttori orientali, l’azienda di Cupertino non è certo l’unica cui le grandi aziende orientali prestano i propri servizi.
Gli incidenti continuano a capitare (anche nelle linee di produzione Apple) e gli attivisti locali continuano a denunciare situazioni di grave violazione dei diritti dei lavoratori nonostante le pressioni in senso opposto delle amministrazioni locali e del governo centrale cinese.
E’ bene dunque che vi sia l’intenzione dell’azienda di fare chiarezza su una questione così importante ma è bene soprattutto che attivisti come Delly Mawazo Sesete facciano sentire la propria voce e facciano pressione perché Apple, la più grande azienda del mondo nel settore tecnolgico per capitalizzazione di mercato, si faccia paladina dell’industria su questo tema.
Manca poco alla pubblicazione della versione 2012 sulla Supplier Responsibility (dovrebbe arrivare verso febbraio). Leggeremo lì quali progressi sono stati fatti sul tema dei minerali e dei metalli conflict-free nel corso del 2011.
Va aggiunto infine che la legge Dodd-Frank (Wall Street reform and Consumer Protection Act) del luglio 2010 ha introdotto nuovi obblighi per le aziende pubbliche statunitensi circa le dichiarazioni di utilizzo di materiali conflict-free provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo o da zone limitrofe.
La SEC ha finalizzato il recepimento delle direttive sui “conflict mineral” nell’aprile del 2011, rendendo effettivo l’obbligo per le aziende di informare la commissione sull’utilizzo di minerali e metalli congolesi nei prodotti elettronici di consumo. Tali dichiarazioni di conformità devono essere contenute nel report annuale (il form 10-K) che ogni azienda è obbligata a fornire alla SEC alla chiusura dell’anno fiscale.
Per quanto riguarda Apple le informazioni sui minerali e metalli “di conflitto” saranno contenute nel form 10-K del 2012 che verrà depositato il prossimo ottobre.
Se volete approfondire la questione Congo e minerali del conflitto non perdetevi lo speciale di Vice: “The Vice Guide To Congo”.
Marco 04/01/2012 il 13:52
grazie per avercene dato visione…
ho naturalmente subito firmato….e spero che anche tutti gli altri lo facciano.