Lavorare ad Apple può essere un inferno?

di Giovanni Biasi 5

jordan price apple

Quello di lavorare in una grande e rinomata multinazionale come Apple, ne siamo certi, è il sogno di molti. Contribuire alla creazione di quei dispositivi che stanno cambiando il mondo della comunicazione, anche fosse solo marginalmente, è una prospettiva di certo interessante che può valere la pena perseguire. Ma c’è chi riesce a lavorare effettivamente in Apple e neanche un mese dopo si licenzia parlando di “situazione insostenibile” per diversi aspetti. È il caso di Jordan Price, ex designer di Cupertino che ha recentemente pubblicato un post su medium.com di nome “Volevo tantissimo lavorare ad Apple, ma ora non così tanto” in cui racconta la propria esperienza. Vale la pena leggerne gli estratti più interessanti. 

Così ho cominciato. Sono stato preoccupato fin da subito dei rigidi orari di lavoro e dei viaggi che avrei dovuto affrontare, ma almeno avrei potuto essere uno di quelli che si occupano di tecnologia e vanno e vengono da San Francisco su un bus privato con wi-fi (e la cosa del bus mi incuriosiva particolarmente perché ci sono cresciuto, a San Francisco, e ho visto i movimenti culturali ed economici risultanti da questo e dall’ultimo boom tecnologico. È ironico come ora fossi uno di quelli che alcuni credono abbiano rovinato la città). Era difficile (e con difficile intendo impossibile) che vedessi mia figlia durante la settimana, perché gli orari di lavoro erano inflessibili. Ho anche subìto un sostanziale calo nello stipendio, ma ho pensato di star lavorando su un investimento per una carriera a lungo termine in una compagnia così prestigiosa. I sistemi di accesso erano incredibilmente complessi, avevano così tante password, account e login che mi ci è voluto quasi un mese solo per accedere al server. C’erano costantemente riunioni che rovinavano la produttività individuale, ma sembravano essere un male necessario in una compagnia così grande e che produce prodotti dalla qualità così alta. Era tutto piuttosto noioso, ma pensavo che nel lungo termine non sarebbe stato un grosso problema.

Quindi, il mio diretto superiore (chiamiamolo Tim il producer), che aveva l’abitudine di rivolgere insulti personali, giustificati come scherzi, a chiunque fosse sotto di lui, ha cominciato a rivolgere verso di me insulti diretti e indiretti. Ha cominciato a ricordarmi che il mio contratto non sarebbe stato rinnovato se avessi o non avessi fatto determinate cose. Mi avrebbe tenuto il fiato sul collo (letteralmente) come un personaggio uscito fuori da Dilbert e mi avrebbe spinto a portare a termine i miei compiti odierni di design che sentiva l’urgenza di dover esaminare. Era piuttosto equo nel direzionare gli insulti e i commenti poco educati, ma non mi faceva sentire meglio quando lo vedevo rivolgersi in quel modo agli altri membri della squadra. Mi sentivo più come un ragazzino impiegato in un lavoro schifoso, piuttosto che un professionista al lavoro in una delle compagnie più prestigiose del mondo.

Il punto di Price, quindi, sembra chiaro: ho lavorato in Apple, dice, ma faceva tutto schifo e ci trattavano male e ci lanciavano le pietre. E ok.

Il fatto è, leggendo il suo post sul blog (qui quello completo), che c’è effettivamente più di una questione irrisolta in tutta questa storia, che il nostro Super Cool Jordan contribuisce a lasciare avvolta nel mistero.
Prima di tutto: perché non ha contattato le risorse umane? Stanno lì per questo, per risolvere i problemi. Eppure non ci ha mai parlato. A questa domanda (rivoltagli spesso su Twitter), ha risposto che, letteralmente, “una cosa del genere sarebbe stata piuttosto difficile perché io avevo il contratto con una compagnia, ed ero pagato da un’altra compagnia ancora che lavorava per Apple”.
Cosa gli abbia impedito, nonostante questo, di lamentarsi alle risorse umane o direttamente col suo datore di lavoro, non è ancora chiaro.

Un altro punto piuttosto oscuro riguarda il tempo effettivo in cui avrebbe lavorato ad Apple. Price fa notare come il 13 Gennaio 2014 sia stato il primo giorno di lavoro ad Apple, e già l’11 Febbraio scriveva tutta la storia di cui vi abbiamo appena parlato. Eppure, tirando in ballo un sistema di credenziali e account molto complesso e dispersivo, parlava di averci messo “quasi un mese” per riuscire ad accedere al server di Apple. Quindi, quali erano questi lavori così pressanti a cui era sottoposto dal suo boss, se ancora non era riuscito ad accedere al vero server di Apple? E cos’ha fatto per un mese?

Insomma: sembra che il nostro Super Cool Jordan abbia effettivamente incontrato delle difficoltà, ma non è che abbia fatto poi molto per risolverle. Neanche un mese ed era già fuori dalla compagnia.
Che ora cerchi solo di essere super cool, alzando un polverone di questo genere su Apple?

Voi cosa ne pensate?

via | iDownloadBlog

Commenti (5)

  1. marco ha detto:

    test del test

  2. Questo non lavora veramente per Apple. E’ in sub-appalto. Lavora per una compagnia che fa dei lavori dentro Apple su contratto.
    Succede in tutte le aziende, mica solo da Apple.
    Fatto sta che dopo aver pubblicato queste accuse su internet ha di fatto violato i termini contrattuali e merita certamente il licenziamento.

  3. avevo sentito dire di cose di questo genere negli apple store italiani, forse addirittura qualcosa pubblicato si questo blog: casi di modding, forte competizione indotta dall’alto, responsabilizzazione senza adeguata retribuzione ecc.
    Come fare il venditore di elettrodomestici per apple fosse un privilegio insomma

  4. 3 anni fa sono arrivato al secondo colloquio per lavorare in un apple store come genius, al primo colloquio di gruppo (24 persone) dopo le presentazioni delle prime 8 persone… ho avuto la strana sensazione di essere in una setta… una scientology informatica! XD

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