Nella seconda metà del 2011 una lunga serie di suicidi portò all’attenzione del mondo le condizioni dei lavoratori della Foxconn, la mega-conglomerata che impiega centinaia di migliaia di operai per assemblare dispositivi delle maggiori aziende del settore dell’elettronica di consumo, Apple compresa.
All’inizio del 2012, sulla spinta di una serie di inchieste che porteranno il New York Times ad aggiudicarsi il premio Pulitzer, Apple intensificò i controlli sui fornitori orientali e favorì una (costosa) ispezione presso Foxconn da parte della Fair Labor Association.
A più di un anno di distanza, però, ci troviamo ora a raccontare la stessa storia. Nel giro dell’ultimo mese altri tre operai del gigante cinese si sono tolti la vita.
Fonti ufficiali Foxconn riportano che il 27 aprile e il 14 maggio scorsi due dipendenti dell’azienda sono deceduti dopo essersi lanciati nel vuoto dai tetti dello stabilimento di Zhenghou. Un altro operaio, impiegato presso la fabbrica di Chongqing, è stato trovato morto invece lo scorso 11 maggio. Di quest’ultimo suicidio vi sarebbe anche un video, postato sul portale cinese YouKu.
Proprio pochi giorni fa la Fair Labor Association aveva pubblicato un nuovo resoconto segnalando ulteriori miglioramenti delle condizioni di lavoro degli operai Foxconn, ma di in relazione solo a quelli impiegati presso le fabbriche di Chengdu e Shenzhen, ovvero quelle più note e più “affollate”.
Secondo un’altra associazione, la newyorkese China Labor Watch, vi sarebbe anche un quarto suicidio, avvenuto il 24 aprile. In relazione a questo decesso, però, Foxconn ha precisato che non si trattava di un dipendente ma soltanto di un 24-enne che aveva fatto domanda per lavorare presso l’azienda.
In relazione agli altri tre suicidi Foxconn ha commentato semplicemente specificando che “i suicidi sono un problema complesso e non si può addurre una sola ragione alla base di questi incidenti”.
I due suicidi di Zengzhou, secondo i portavoce dell’azienda non sarebbero però legati a questioni relative all’ambito lavorativo.
Alcuni lavoratori che hanno commentato la notizia con i media cinesi, però, non sono d’accordo e credono che sia la grande pressione cui sono sottoposti ad aver provocato la nuova serie di suicidi.
Foxconn si sta impegnando (su pressione di organismi e organizzazioni internazionali) in un piano di riduzione delle ore lavorative settimanali, con l’obiettivo di portale ad un massimo di 49 entro luglio.
La riduzione delle ore di lavoro, però, non riduce la pressione sugli operai e paradossalmente in alcuni casi ha creato scontento fra molti dipendenti che, al contrario, vorrebbero poter lavorare il più possibile, più giorni possibile. Non è difficile capire il perchè: il lavoro alla Foxconn, alla linea produttiva, non è un mestiere di “carriera”. I giovani delle campagne si fanno assumere per lavorare qualche anno e mettere da parte il più possibile, più in fretta possibile, per poter tornare nei propri villaggi o per cercare poi fortuna altrove.
Non è dato sapere se presso le due fabbriche in cui sono avvenuti i suicidi Foxconn producesse o meno prodotti Apple, anche se di certo non è così importante. Il rischio è che la forte pressione sugli stabilimenti principali, quali Shenzhen e Chengdu, abbia semplicemente contribuito a spostare i problemi altrove, in altri stabilimenti in aree più interne della Cina, dove Foxconn aveva già reinvestito perché attirata dalla possibilità di pagare di meno gli operai a fronte di un minor costo della vita rispetto ai grandi centri di inurbamento attorno agli stabilimenti più “datati”.
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