Nella serata di ieri Apple ha risposto ufficialmente con una dichiarazione rilasciata dal portavoce Tom Neumayr a Peter Kafka di All Things Digital:
L’accusa di collusione mossa dal DOJ contro Apple è semplicemente non vera. Il lancio dell’iBookstore nel 2010 ha favorito l’innovazione e la concorrenza, interrompendo la stretta monopolistica di Amazon sull’editoria. Da allora i consumatori hanno beneficiato di ebooks che sono più interattivi e coinvolgenti. Così come abbiamo permesso agli sviluppatori di decidere i prezzi sull’App Store, allo stesso modo gli editori possono sceglierli sull’iBookstore.
Stesso tenore e stessa impostazione della difesa da parte dei due editori che hanno scelto di non patteggiare subito, ovvero Penguin Group e MacMillan. Gli altri tre editori coinvolti, HarperCollins, Hachette e Simon&Schuster hanno invece scelto di accettare un accordo proposto dal DOJ.
La situazione legale degli editori è un po’ più complicata rispetto a quella di Apple. Le indagini del DOJ parlano infatti di incontri “segreti” fra dirigenti di alto livello, CEO compresi, negli States e in Europa, ai quali però Apple non avrebbe partecipato.
Buona parte delle trattative fra Apple e gli editori le gestì direttamente Steve Jobs, invece, e avevano un unico fine: convincere le parti che un modello d’agenzia come quello proposto dall’iBookstore sarebbe stato per loro conveniente e gli avrebbe permesso di fare leva sui nuovi prezzi per spingere Amazon a rivedere la propria politica di acquisto “all’ingrosso” (wholesale).
Secondo un buon numero di esperti in materia il DOJ non avrà vita facile in tribunale, perché Apple, con la giusta difesa, può riuscire a dimostrare che con i veri e propri accordi “di cartello” non ha nulla a che fare. In più c’è un particolare importante da non trascurare: Amazon, quando le violazioni contestate sarebbero avvenute, deteneva il 90% circa del mercato degli ebook. Un vero e proprio incumbent, quindi, che grazie alla vendita al ribasso (e talvolta in perdita) degli ebooks comprati in grande quantità aveva a sua volta contribuito all’imposizione di un tetto ai prezzi. Un dato, questo, che gli avvocati delle difese non esiteranno a bollare a loro volta come anticoncorrenziale.
E non è detto neppure che l’accordo fra editori concorrenti finalizzato ad impostare un prezzo minimo per i propri beni possa rappresentare automaticamente una violazione delle leggi antitrust. Ci sono precedenti nella giurisprudenza statunitense in cui un elemento analogo non è bastato al giudice per dichiarare anticoncorrenziale il comportamento delle parti.
Ne sapremo certamente di più nei prossimi mesi. Intanto le accuse del DOJ hanno innescato una catena di cause minori, mosse dagli Stati Federali nei confronti degli stessi soggetti (accusati di aver fatto pagare troppo i propri libri), mentre varie autorità internazionali seguono con attenzione la vicenda per capire se sarà necessario un loro intervento dello stesso tenore. La Commissione Antitrust europea, ad esempio, è già sul caso da qualche mese.
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