La nuova partnership fra IBM e Apple nasce da una necessità complementare: Apple ha bisogno dei servizi che IBM è in grado di offrire in ambito di analisi di Big Data e parametri aziendali per garantire una maggiore penetrazione in ambito enterprise; IBM può sfruttare una piattaforma già affermata (e il cui successo all’interno delle maggiori aziende è già solido) per ospitare con soluzioni semplici e integrate i propri servizi.
Foto Courtesy of Apple/Paul Sakuma
Da un punto di vista più concreto, la partnership risulterà nella creazione di “una nuova classe di oltre 100 soluzioni business specifiche per settore, incluse app native e appositamente sviluppate per l’iPhone e l’iPad”. Apple e IBM offriranno inoltre:
• esclusivi servizi cloud IBM ottimizzati per iOS, inclusi gestione dei dispositivi, sicurezza, analisi e integrazione mobile;
• una nuova offerta di assistenza e supporto AppleCare attivo 24/7 su misura per le esigenze dei clienti business;
• nuove offerte bundle di IBM per attivazione, fornitura e gestione dei dispositivi.
In funzione del nuovo accordo MobileFirst per iOS, IBM venderà direttamente ai clienti dispositivi iOS con soluzioni enterprise preinstallate sulla base delle esigenze dei clienti.
“iPhone e iPad sono i migliori dispositivi mobili al mondo e hanno trasformato il modo in cui le persone lavorano con oltre il 98% delle aziende Fortune 500 e oltre il 92% delle aziende Global 500 che usano i dispositivi iOS,” ha dichiarato Tim Cook nel comunicato ufficiale. “Per la prima volta in assoluto, i nostri clienti iOS potranno contare sulle note Big data analytics di IBM e averle sempre a portata di tap. Per Apple, si tratta di un’eccellente opportunità di mercato. Per il mondo enterprise, è un passo radicale e qualcosa che solo Apple e IBM possono offrire.”
L’accordo fra IBM e Apple è di portata storica e, allo stato attuale, ha il potenziale giusto per garantire margini di crescita importanti ad entrambe le aziende.
Se si parla di Apple e IBM è inevitabile richiamare alla memoria il gap culturale che separava Cupertino ed Armonk negli anni ’80. IBM, del era l’oggetto dello sfottò di quel famoso paginone del Wall Street Journal, “Welcome IBM, seriously”. IBM era anche il Grande Fratello dello spot 1984, fautore di un totalitarismo informatico che il Mac avrebbe spazzato via. Un attitudine sapientemente riassunta dalla famosa foto di Steve Jobs davanti alla sede dell’azienda di Armonk.
Non va dimenticato, però, che questa non è la prima partnership nata dalla collaborazione fra Apple e IBM. Nel 1992, quando già era chiaro che Microsoft era il nuovo nemico comune, le due aziende si allearono. Ne nacque Taligent, un linguaggio di programmazione orientato agli oggetti che ebbe assai poca fortuna e il cui sviluppo fu abbandonato nel 1995.
Più fortunata l’unione a tre Apple, IBM, Motorola finalizzata a produrre una risposta ad Intel con la creazione dell’architettura PowerPC.
I chip di IBM-Motorola rimasero nei Mac fino al 2006, quando Steve Jobs diede l’annuncio-shock del passaggio ad Intel. La terza partnership fra Apple e IBM fu invece sfortunata come la prima. Ne nacque OpenDoc, una risposta al framework OLE di Microsoft. Steve Jobs “sparò in testa” (parole sue) ad OpenDoc non appena tornato al comando dell’azienda di Cupertino, nel 1997.
Quella annunciata ieri, insomma, è la quarta partnership strategica fra Apple e IBM. Le prospettive sono ottime, in questo caso, perché non si tratta di un’unione in risposta ad una minaccia della concorrenza, quanto in funzione della crescita reciproca di due player complementari e non concorrenziali del settore enterprise.
L’attuale attitudine di Apple nei confronti di IBM è sapientemente riassunta da questa foto di Tim Cook di fronte alla sede di IBM.
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