Ricorderete certamente il polverone mediatico che si è sollevato qualche mese fa a seguito delle accuse di elusione fiscale che il Senato degli Stati Uniti ha mosso nei confronti di Apple e altri giganti dell’elettronica di consumo.
A fine maggio Tim Cook e il CFO Peter Oppenheimer testimoniarono addirittura di fronte ad un commissione ad hoc istituita dal Senato per fare chiarezza sulla vicenda. Che ora pare avviarsi a compimento con un nulla di fatto: la S.E.C., l’organismo federale di controllo fiscale sulle aziende quotate in borsa, ha confermato che non c’è nulla di illegale nella “strategia” contabile di Cupertino.
L’esito della revisione cui Apple è stata sottoposta dalla Commissione di Washington è arrivata sotto forma di lettera a metà settembre.
La SEC, che ha reso pubblico il documento alla fine della scorsa settimana, sostiene di non aver trovato nulla da contestare nei libri contabili del 2012 e non ci sarà quindi alcun provvedimento al riguardo.
Si scopre, grazie al Wall Street Journal, che Apple avrebbe accettato inoltre le richieste della Commissione in merito ad una maggiore trasparenza sulle operazioni di movimentazione di capitali all’estero. Gli investitori, in sostanza, riceveranno maggiori informazioni sui “tesoretti” che Apple ha sparso per il globo, sul modo in cui vengono reinvestiti e sulle tassazioni cui sono sottoposti.
Del resto Apple lo aveva detto fin da sempre: l’azienda non viola alcuna legge fiscale e paga tutte le tasse che deve pagare allo Stato Americano. Il fatto che quelle leggi possano permettere scappatoie e lascino spazio a strategie di alleggerimento del carico fiscale complicate e globalizzate è decisamente un altro paio di maniche.
I senatori che avevano accusato Apple di “illecito” in realtà lo sapevano bene che Cupertino non stava davvero violando le leggi federali, ma hanno pensato che fosse il caso di procedere comunque per accertare i dettagli di quello che, non senza una buona dose di enfasi, chiamarono “il Sacro Graal dell’elusione fiscale”.
Davanti alla Commissione e poi più avanti in varie occasioni pubbliche, Tim Cook spinse nella direzione di una necessaria e vigorosa riforma fiscale che permetterebbe di rimpatriare capitali stranieri senza una tassazione eccessiva ma che allo stesso tempo per Apple si tradurrebbe in un aumento delle tasse da versare allo Zio Sam.
Da Washington non è arrivato alcun input in tal senso e tutto, al momento, è rimasto come quattro mesi fa. Il che non stupisce, visto il grave stallo politico in cui si trova oggi l’intero sistema amministrativo Statunitense.
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