E’ la doppia faccia di alcune grandi aziende della Silicon Valley che emerge in maniera evidente dai documenti di una class action che verrà dibattuta in prima istanza la prossima settimana presso il tribunale di San José.
Nelle carte dell’azione legale, rese pubbliche ieri per la prima volta, ci sono prove ben circostanziate che dimostrano come Apple, Google, Pixar, Adobe, Intel, Intuit e LucasFilm avessero stretto e posto in essere un accordo di non-poaching (termine inglese che nel contesto indica l’azione di soffiare un dipendente ad un concorrente) per un periodo che va almeno dal 2005 al 2009.
Il fatto che fra Apple, Google, LucasFilm, Pixar, Intel e tutte le altre aziende vi fosse un patto di questa natura era già ampiamente emerso, visto che tutte le aziende proprio nel 2009 avevano patteggiato con il Dipartimento di Giustizia americano e avevano accettato di porre fine a questa pratica non consentita dalla legge americana.
Lo scopo di un accordo di non-poaching è ovviamente quello di non perdere know-how strategico a favore di un concorrente, ma non va di certo sottovalutato il mutuo interesse a mantenere artificialmente più bassi i costi del lavoro qualificato. Tu non rubi i dipendenti a me con offerte migliori, io non li rubo a te nello stesso modo, entrambi ci teniamo i nostri dipendenti senza spendere di più.
Ora però le prove addotte dai sostenitori della class action sono schiccianti ed è difficile capire in che modo Apple, Pixar, Google, Adobe e gli altri potranno giustificare quelle email e quelle telefonate in cui discutevano proprio di quell’accordo non scritto.
In una email interna, Lori McAdams dell’ufficio risorse umane di Pixar discute la ratifica di un gentlemen’s agreement con Danielle Lambert (VP risorse umane di Apple e moglie di Tony Fadell) “simile a quello che abbiamo già stretto con LucasFilm”. In un’altra, datata 2005, l’allora CEO di Adobe Bruce Chizen parla dell’accordo direttamente a Steve Jobs. Fa seguito un appunto del capo delle risorse umane di Adobe che comunica l’immediata cessazione di qualsiasi azione in corso finalizzata a “soffiare” dipendenti ad Apple.
Fra le prove ce n’è anche una che scagiona Palm, che invece a quel tipo di accordo (che pure era stato proposto anche a loro) non aveva voluto sottostare.
Le aziende chiamate in causa si difendono chiedendo l’archiviazione alla luce del fatto che in realtà il Dipartimento di Giustizia non ha trovato traccia di alcuna “cospirazione”.
I sostenitori della class action puntano invece ad ottenere un risarcimento per tutti coloro che hanno lavorato per le aziende nel periodo che va dal 2005 a 2009.