Il messaggio di benvenuto per i nuovi dipendenti Apple

La cosa bella di Instagram, acquisizione da parte di Facebook con valore iper-pompato e stratosferico a parte, è che l’app di condivisione fotografica è usata ormai più di 50 milioni di persone. Fra quei 50 milioni di individui c’è anche un dipendente Apple che va sotto il nickname di “m” e che ha postato la foto che vedete qui sotto.
“Ciò che ti accoglie il tuo primo giorno alla Apple,” scrive m nella descrizione della foto. “L’ho tenuto attaccato nel mio armadietto per due anni. Parole d’ispirazione per la vita”.

Per chi non masticasse l’inglese, di seguito trovate una traduzione.

La traduzione del messaggio:

“C’è il lavoro e c’è il lavoro della tua vita.
Il tipo di lavoro che ha le tue impronte digitali su ogni suo aspetto. Il tipo di lavoro per cui non scendi mai a compromessi. Per cui sacrificheresti un weekend. Puoi svolgere quel tipo di lavoro alla Apple. La gente non viene qui per fare il suo compitino. Viene qui per nuotare dove l’acqua è più profonda.
Vuole che il proprio lavoro contribuisca a qualcosa.
Qualcosa di grande. Qualcosa che non potrebbe succedere altrove.

Benvenuto alla Apple.”

Come sempre di fronte a questo tipo di messaggi, sono combattuto. C’è da una parte l’ispirazione, lo spirito di “invasamento” positivo che permea ogni cosa che Apple fa e che permette all’azienda di creare i prodotti che crea. Dall’altra, c’è invece l’idea che la produttività si debba sempre e comunque tradurre in una dedizione totalizzante che metta il proprio lavoro al di sopra di ogni altro aspetto della propria vita.

Parole ispiratrici, dunque, o “opprimente” promessa di un impegno professionale che ti coinvolgerà talmente tanto da mettere in discussione l’agognato equilibrio work/life che l’etica del lavoro europea santifica e, al contrario, quella americana considera spesso in maniera velatamente negativa?
Voi che ne pensate?

8 commenti su “Il messaggio di benvenuto per i nuovi dipendenti Apple”

  1. Voto “opprimente”, senza dubbio. E neanche troppo sottile, con quel riferimento al weekend che sa già di minaccia. Ma come dici tu, Camillo, è la differenza tra la retorica del workaholism all’americana e chi sceglie di non sacrificare la propria vita privata per “essere parte di qualcosa d’importante” (come, poi, visto che pure Ive si lamentava di come Jobs si prendesse meriti non suoi?).

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  2. ..appartengo a quella fetta di persone per le quali il ‘lavoro’ è quella sfida lì…visione, impronta, dare tutto. Il problema di questa roba qui è per quelli che poi ci dovranno lavorare insieme…questi andrebbero tutelati dalla follia :)

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  3. Specifico: credo che per un sacco di gente il lavoro sia l’occasione per lasciare un segno, impegnarsi oltre il limite se necessario, ecc. Il problema è quando questo ti viene sventolato davanti come un’excusatio non petita aziendale, peraltro rigonfia di slogan da motivational speaker con le maniche arrotolate che sbraita nel microfono (“They come here to swim in the deep end”? Maddeché?). La Apple produce *giocattoli* che ci rendono la vita migliore e amiamo tutti assai, ma non sono cure per il cancro, via.

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  4. Penso che lavorare a Cupertino sia il sogno di ogni ingegnere, l’aspirazione massima in cui puoi applicare tutte e tue conoscenze apprese durante gli studi..ognuno può esprimere la sua creatività senza freni..poi stiamo parlando dell’azienda di una delle menti più geniali del XX° e XXI° secolo..chi non vorrebbe lavorarci..

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  5. Mi pare che il seguito fosse circa così:”…don’t worry about vaseline, here you’ll find as much as you need dude” Enjoy your work !

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  6. Per chi vuole lasciare un segno del suo passaggio su questa terra e poter dire di avere contribuito a fare qualcosa di unico, Apple è stata ed è tuttora quel posto speciale dove tutto questo può succedere davvero. Mi spiace per chi non riesce a sentire l’entusiasmo, la passione e il senso di partecipazione trasmessi dal messaggio a chi, fortunato, inizia a lavorare in Apple ma vede solo e sempre tutto in chiave negativa. Gli auguro di imparare presto a vedere le cose anche da un’altra prospettiva, quella positiva: la vita gli sembrerà certo migliore e valida di essere vissuta in pieno.
    Ho lavorato in Apple per 5 anni e sono stati i più belli e entusiasmanti di tutta la mia vita lavorativa. Non sono impazzito e nemmeno alienato, nessuno in Apple mi ha costretto a turni massacranti o lavori forzati nei week-end. Ogni mattina c’era l’entusiasmo di lavorare, con colleghi brillanti, positivi e socievoli, a progetti sempre nuovi e entusiasmanti. Certo, chi non ha provato tutto questo è libero di credere che i messaggi nascondano secondi fini, ma chi è stato fortunato e ha vissuto questa esperienza, sa che il messaggio è vero e sincero. O forse la negatività è causata da una malcelata invidia…

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  7. @Michele, permettimi: è possibile che si finisca sempre lì quando non si condivide una filosofia, e cioè “tutta invidia, rosicate”? Sono certo che lavorare in Apple sia entusiasmante, e sono altrettanto sicuro che chi arrivi lì sia al top del suo campo: il messaggio di benvenuto, però, è secondo me un esempio di comunicazione (il mio, di campo, anche se non certo a questi livelli: magari!) piuttosto goffa, retorica e un po’ tanto ingenua, che non mi stupirebbe vedere riservata ai dipendenti di Microsoft o di qualsiasi azienda informatica. Manca quel tocco di leggerezza Apple, in altre parole, che si è visto quasi sempre nel marketing dei prodotti (ok, a parte “resolutionary”…). So che possono fare di meglio: così sembra scritto da Steve Ballmer. DEVELOPERS! DEVELOPERS! DEVELOPERS!

    E poi scusa, io sarò anche troppo cinico ed europeo ma se penso ad Apple penso (anche) a FoxConn o a tutto ciò che è andato in direzione del profitto e non dell’alfabetizzazione informatica (ovvio e sacrosanto per un’impresa, ma che rende meno credibili i proclami sul sol dell’avvenire). D’altronde per noi che Cupertino l’abbiamo sempre vista da fuori le esperienze sono anche quelle del libro di Isaacson, dove si racconta dei licenziamenti in ascensore o del reality distortion field che ti faceva lavorare cento ore alla settimana. Leggende metropolitane, che sono ben lieto tu mi smentisca :)

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