Sono passati ormai 9 mesi da quanto Tim Cook ha preso il posto di Steve Jobs al timone di Apple. Pochi per capire quale sia davvero il nuovo corso che Cook ha imposto all’azienda ma un numero sufficiente per permettere ai giornalisti di trarre le prime conclusioni. Adam Lashinsky, columnist di Fortune di chiara fame e autore del libello “Inside Apple“, pubblicato qualche mese fa, si è cimentato nell’impresa e ha prodotto un interessante profilo dell’evoluzione di Apple a pochi mesi dall’anniversario della nomina a CEO di Tim Cook.
Lashinsky, con un sapiente meccanismo di contrappesi, mescola i molti aspetti positivi evidenti con altri che possono instillare il dubbio sulla direzione che ha preso l’azienda dopo il cambiamento epocale che ha attraversato dopo la dipartita di Steve Jobs.
L’articolo ripropone alcune delle caratteristiche di Cook che già abbiamo imparato a conoscere. L’aneddotica sul nuovo CEO, definito “maestro dell’efficienza operativa”, non manca. Lashinsky cita ad esempio una recente “visita guidata” che Apple ha offerto ad alcuni grandi investitori. Durante la breve presentazione, tenuta da Peter Oppenheimer presso la Town Hall al civico 4 di Infinite Loop, Cook si è unito al gruppo e si è messo ad ascoltare.
Al termine dell’intervento del CFO, Cook ha raggiunto il palco e risposto con sicurezza e prontezza a tutte le domande degli investitori.
La positiva sorpresa degli shareholders era giustificata: Steve Jobs mal sopportava incontri di questo genere ed era proprio Tim Cook il delegato che inviava per tenere a bada analisti ed esperti finanziari.
Sarà forse per questo (o per la rinnovata sicurezza sulla leadership) che da quando Tim Cook è diventato CEO il titolo Apple ha preso a crescere come mai prima, dimostrando una rinnovata fiducia che Wall Street non aveva mai davvero garantito alla Apple di Steve.
Quelli prettamente economici sono solo alcuni degli aspetti che Lashinsky tocca nel suo dettagliato profilo. Ogni anno Steve Jobs aveva l’abitudine di radunare 100 dipendenti Apple di ogni ordine e grado (scelti sulla base delle fiducia in loro riposta e non sul ruolo rivestito) per tenere un “ritiro” al Carmel Valley Ranch.
Cook non ha mancato l’appuntamento e anche quest’anno la “Top 100” si è tenuta, ad aprile. La differenza fra questo incontro e quelli degli anni precedenti, dicono alcune delle fonti di Lashinsky, stava tutta nell’atmosfera: una maggiore rilassatezza, con un Tim Cook in gran forma e in vena di battute. I “100 prescelti” hanno potuto conoscere in anteprima le prossime mosse di Apple e sono tornati dal meeting, dicono sempre le fonti, sicuri ed entusiasti della direzione che l’azienda sta seguendo.
Fra gli altri piccoli grandi cambiamenti che Apple ha potuto osservare ce ne sono alcuni tanto minori quanto importanti per il morale generale delle “truppe”. Cook, dice Lashinsky, è molto meno riservato del suo predecessore. Non è raro vederlo alla caffetteria del Campus, dove pranza al tavolo con i dipendenti. La sua “aura” è volutamente più dismessa rispetto a quella di Steve Jobs e le aspettative di interazione con il CEO sono certamente aumentate per i dipendenti.
“E’ molto rispettato, ma non venerato” conclude Lashinsky. “Mentre entra in una fase complessa della sua storia aziendale, forse Apple ha bisogno non tanto di un dio come CEO quanto di un semplice mortale che capisca come portare a termine il suo lavoro”.
L’articolo di Lashinksy è una lettura decisamente consigliata. Lo trovate su Fortune.
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