Uno dei problemi che le case discografiche si trovano ad affrontare nel prossimo futuro è l’eccessivo peso di alcuni attori del mercato della musica digitale, iTunes Store (Apple, per estensione) in particolare. Lo sostiene la EMI in un recente comunicato che ha fatto seguito all’ultimo report dei risultati fiscali. Secondo la major, che fu la prima fra le grandi etichette a concedere il proprio catalogo ad Apple senza il vincolo dei DRM, uno dei rischi possibili da non sottovalutare è:
“La sostanziale dipendenza da un numero ristretto di negozi musicali online, in particolare iTunes Store, per le vendite su internet, e la risultante influenza che essi possono esercitare sulla strutturazione dei prezzi nei negozi musicali online”.
Nascosta nelle pieghe di questa dichiarazione si può leggere tutta l’insofferenza che ha sempre caratterizzato il rapporto fra Apple e le major della musica. Il timore, in fondo, che il rafforzamento dei distributori digitali potesse conferire eccessivo potere contrattuale a degli attori del mercato da sempre relegati ad una posizione subordinata.
Non a caso quella fra Apple e le grandi potenze del disco è sempre stata una guerra, con un continuo susseguirsi di battaglie e tregue. Nel dover prendere una posizione non è mai stato troppo difficile per l’utente finale schierarsi in favore di iTunes Store e dei suoi analoghi concorrenti, come Amazon MP3 Store, spesso rafforzati volontariamente dalle major con contratti molto più favorevoli proprio per contrastare il primato del negozio online di Apple. Del resto è lo schema Apple che ha permesso prezzi accessibili per la musica grazie al digitale e ha creato un nuovo mercato, rivoluzionando un’industria che per indole naturale avrebbe volentieri proseguito a stampare CD fino al 2050.
E quanto agli artisti, non si venga fuori con la solita moina sulla migliore tutela dei diritti dei musicisti che le grandi etichette sarebbero in grado di garantire; sarà forse vero al massimo per i grandi nomi (che però ad un certo punto non si accontentano e addirittura rompono del tutto – vedi i Pink Floyd, i cui dischi non possono più essere venduti né online né su CD fino a che non verrà rinnovato il contratto che fu proprio di EMI). E parliamoci chiaro: come ha detto Mick Jagger, il periodo in cui gli artisti hanno fatto un sacco di soldi grazie alla musica era già finito prima di iTunes e dell’iPod, ed è stato solo una parentesi nella storia della musica leggera del ‘900.
iTunes Store ha i suoi aspetti negativi e gli audiofili arricciano il naso per il presunto abbassamento della qualità del suono propinato agli ascoltatori cui i codec infernali di Apple avrebbero contribuito. Ma in fin dei conti quella che Apple ha introdotto è una vera democratizzazione della distribuzione, con contorno non indifferente di alternativa legale al download selvaggio.
Come ad ogni svolta ci sono elementi del vecchio mercato che muoiono – i negozi di dischi, già in difficoltà per colpa della pirateria – mentre altri accolgono il cambiamento come una benedizione – le etichette indipendenti. I mammut della discografia non possono che adattarsi. Se iTunes e il suo primato ora rappresentano un rischio, EMI e co. avrebbero forse dovuto pensare ad altre soluzioni per tempo, invece che passare gli ultimi anni ad opporsi al rinnovamento, con inutili e costose campagne antipirateria e incassando miliardi a “suon” di suonerie. Il tutto senza mai fornire alternative e soprattutto senza smettere di piangere miseria.
Fanno schifo le case discografiche, sempre e solo soldi vogliono fare, forse si dimenticano che vendono musica e arte. Chissa che chiudano tutte.
codec infernali di Apple? l’unico codec infernale di Apple è l’Apple Lossless, l’AAC è uno standard ufficiale Mpeg4 successore dell’mp3 che non ha creato Apple. Credo che se non fosse stato per le major Apple avrebbe già pompato l’ALAC da un bel pò visto che iTunes Producer lo può fare ma spero ci ripensino con l’HD-AAC o meglio con il flac =) allora potrò veramente dire addio al cd.
Influenzare? Ma stiamo scherzando?
Le majior dalla notte dei tempi pagano radio e tv perche’ facciano passare i propri pezzi cosi’ la gente poi si compra il prodotto… Questo non e’ influenzare?!?!?! Non siano ridicoli in EMI vista la qualita’ dei loro prodotti negli ultimi anni, a parte qualche bel prodotto, sono solo nomi commerciali da classico pastone: pop/hiphop/dance… W le indie label viva le produzioni qualitative w il mercato libero non influenzabile e non influenzato dalle major.