L’iPhone bloccato potrebbe celare le prove di un omicidio: gli inquirenti si rivolgono ad Apple

A metà del luglio scorso Nicoletta Figini, 55 anni, viene trovata morta nel suo appartamento di Città Studi, a Milano. E’ stata uccisa durante quello che sembra un tentativo di rapina. In casa, però, non manca nulla di valore e dalle indagini saltano fuori particolari nuovi che fanno finire in carcere Gian Paolo Maisetti, socio della vittima in un centro di telefonia.

iPhone-lockscreen

Gli inquirenti, dopo mesi di tentativi, trovano uno scoglio che non riescono a superare: l’iPhone 5 della vittima ha un codice di blocco che non possono aggirare in alcun modo. Chiedono aiuto direttamente alla sede centrale di Apple. Ma a Cupertino vogliono l’ordine di un giudice – non basta quello del PM – per procedere allo sblocco forzato del melafonino che potrebbe fornire indizi utili al proseguimento delle indagini.

L’iPhone 5 di Nicoletta Figini è uno dei tre telefoni che la vittima teneva in casa e che i presunti ladri, durante quella che doveva sembra una rapina, non hanno nemmeno considerato.
Due telefonini vengono sbloccati senza problemi, ma non contengono nulla di rilevante ai fini dell’indagine. L’iPhone 5, invece, non si apre in alcun modo. La vittima aveva impostato il codice di blocco a 4 cifre che iOS 7 invita ad inserire fin dal primo utilizzo.

Secondo quanto scrive il Corriere, la Procura prova invano ad aprire l’iPhone 5 che, insieme ai modelli successivi, è molto meno penetrabile degli iPhone di vecchia generazione.
“Nessun software, nessun hacker, nessun detective pare in grado di superare la barriera della password di apertura, se è attivata.”

Una buona notizia per la privacy dell’utente medio (anche se il merito non dell’hardware, come scrive il Corriere, ma di iOS 7) si trasforma in una difficoltà impossibile da aggirare per la Procura e i suoi consulenti tecnici.

Da qui la decisione di rivolgersi direttamente a Cupertino, per chiedere ad Apple di sbloccare quel telefono così importante per lo svolgimento delle indagini.

“Apple si dice disposta a venire incontro alla giustizia italiana a patto, però, che l’apparecchio sia portato in California e che ci sia un ordine di un giudice,” scrive il Corriere, “senza il quale non può scardinare una sua creatura neppure se essa apparteneva alla povera vittima di un omicidio.”

Ed è a questo punto che sorge il problema, al momento non risolvibile, che attiene più alle differenze fra la legislazione italiana e quella statunitense che non alla volontà di sbloccare il telefono da parte di Apple. La Costituzione americana per giustificare una “perquisizione”, per quanto digitale, impone l’ordine di un giudice, non basta la richiesta di un Pubblico Ministero.

Il PM Mauro Clerici sta studiando una soluzione che passi attraverso il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) e permetta di far valere la rogatoria internazionale già avviata.

Non è detto però che in quell’iPhone 5 si nasconda la soluzione dell’omicidio di Nicoletta Figini. Del resto il blocco del dispositivo, che per il Corriere potrebbe essere chiaro indicatore di segreti celati, altro non è che una normale procedura di sicurezza personale che l’ultima versione di iOS ha contribuito a diffondere e rendere più facile.

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