Altro che bitcoin e criptovalute virtuali. L’iPhone è la vera valuta transazionale degli ultimi anni. Lo sostiene Vernon Silver, un reporter di Bloomberg Businessweek che vive a Roma e che, in più occasioni, ha utilizzato gli iPhone – rigorosamente sbloccati – acquistati in patria, negli States, per pagare, in Italia, il lavoro di altre persone. Come la sua donna delle pulizie. Magari in nero.
“Quando una colf ha saputo che stavo per visitare gli Stati Uniti, mi ha chiesto di prenderle un iPhone al posto dell’ammontare di denaro che le dovevo per il lavoro che aveva svolto,” scrive Silver su Businessweek. “In fila all’Apple Store sulla Quinta Avenue ero circondato da acquirenti che parlavano lingue di tutto il mondo. Il venditore sembrava sorpreso quando ho detto che volevo un iPhone sbloccato: solo uno?”.
Quello che Silver descrive non è altro che una forma di scalping, il bagarinaggio tecnologico globale che in alcuni casi ha addirittura compromesso il lancio di nuovi iPhone in alcuni paesi asiatici e che ad oggi è un fenomeno abbastanza diffuso. Il meccanismo è semplice: il “bagarino” compra gli iPhone negli Stati Uniti, o in un paese dove costa meno, e lo esporta in paesi dove la domanda è alta e il telefono non è distribuito ufficialmente oppure costa troppo. Come in Italia.
Il giornalista continua il racconto delle sue “avventure da scalper”. Durante quel primo viaggio a New York compra due iPhone 5s, il primo per la domestica che gliel’ha chiesto e il secondo al buio, fiducioso di poterlo usare come denaro contante una volta tornato in Italia. Tutto va secondo i piani. Durante un successivo viaggio, Silver ripete lo schema: iPhone 5s comprato a Los Angeles e scambiato a Roma per 600€ di lavoro (l’equivalente del prezzo in dollari pagato dal giornalista) con una persona cui era stato rubato l’iPhone da poco.
Il giornalista sembra fin troppo assorbito dalla descrizione dell’iPhone come valuta senza confini per menzionare, magari anche solo di passaggio, che il suo “contrabbando” di iPhone in Italia è illegale.
Nessuna menzione, soprattutto, del fatto che l’iPhone mantiene in gran parte il suo valore qui a Roma per la differenza sensibile fra la V.A.T. statunitense e l’IVA al 22%, che al rientro in Italia, è chiaro dall’articolo, non viene in alcun modo versata.
Per non parlare dell’altro aspetto che trapela: a meno che la colf non si sia venduta l’iPhone e versata i contributi, il giornalista sta ammettendo di pagare in nero i propri collaboratori domestici.
When in Rome, do as the Romans do.