Se siete utenti iPhone e praticate il jailbreak sul vostro dispositivo, non vi sarà probabilmente sfuggito che una recente revisione del DMCA da parte dell’Office Of Copyright statunitense ha decretato la legalità formale della pratica di “liberazione” del terminale. La decisione è valida negli Stati Uniti, mentre non è ben chiaro quale sia la situazione legale all’estero e qui in Italia. Apple ha poi confermato che in ogni caso la pratica invalida ancora la garanzia del terminale, ma siamo sicuri che questa clausola sia a norma di legge?
Per cercare di capire meglio quale sia l’attuale situazione legale del Jailbreak in Italia abbiamo chiesto un parere tecnico a Gianluca Craia, consulente legale dello staff di noze s.r.l. ed esperto di proprietà intellettuale nel mondo ICT.
Pochi giorni prima delle ferie d’agosto si è tenuta in America la ormai classica DMCA triennial review. Le novità sono state molte, e molte le riflessioni che i provvedimenti presi dai componenti del “Register of Copyrights” suscitano.
Con il Digital Millenium Copyright Act (DMCA) del 1998 è stato recepito nell’ordinamento Statunitense il WIPO Copyright Treaty e il WIPO Performances and Phonograms Treaty; nel maggio 2001 anche l’Unione Europea ha adottato provvedimenti relativi al Copyright con la direttiva Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di alcuni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione che ha portato alle modifiche introdotte alla legge 633/1941 (Legge sul diritto d’autore di seguito e più in breve LDA).
La legge U.S.A. e il jailbreak
Nonostante i principi di base siano i medesimi così come medesimo sia lo scopo di tutelare i diritti e (soprattutto) i titolari dei diritti sulle opere digitali, la normativa statunitense è sicuramente più interessante.
Essa prevede una sorta di potere di regolazione in capo al Copyright Office relativamente alle cosiddette pratiche di “circumvention of certain technological measures”.
Ogni tre anni si procede ad una valutazione della possibili condotte degli utenti, non specificamente previste dalla legge, valutando quali siano le pratiche da considerarsi violative del DMCA e quali invece rientrino in quei casi di “fair use” che consentono ai soggetti che utilizzano opere protette da copyright di mettere “fuori gioco” i sistemi di protezione.
Individuata una data pratica come lecita, l’utilizzo dell’opera da parte dell’utente è ritenuta legittima. Molta eco avrà sicuramente la legittimazione del cosiddetto “jailbreak” (wiki), sistema molto conosciuto tra gli utenti iPhone , iPad e iPod touch.
Con questo processo è possibile modificare i file di sistema originali, accedere alle cartelle di sistema del proprio dispositivo e installare meccanismi di distribuzione di applicazioni e pacchetti alternativi a quello ufficiale evadendo il controllo delle misure tecnologiche di tutela del diritto d’autore.
Dopo aver effettuato il jailbreak del proprio dispositivo, l’utente non è più legato all’App Store di Apple e può installare numerose applicazioni altrimenti non disponibili utilizzando, ad esempio, Cydia. Ebbene negli USA tale pratica è ora legittima.
Il jailbreak per la legge italiana
Ma siamo sicuri che anche nel nostro paese non sia possibile sbloccare i dispositivi evitando di violare la normativa ed evitando di scomodare gli illuminati provvedimenti di oltre oceano?
In generale dobbiamo considerare che le applicazioni software proprietarie, ed iOS è una di queste, sono “black box”. E’ possibile conoscere il loro input e il loro output, ma non si può, e non si deve, esaminare cosa sta dentro la scatola né, tanto meno, modificarne il contenuto, salvo alcune eccezioni definite genericamente pratiche di “fair use”, riconosciute nel nostro ordinamento dall’art 64 quater LDA.
Ad esempio la LDA prevede la possibilità di conseguire l’interoperabilità tra diverse applicazioni informatiche intervenendo sull’applicazione di titolarità del terzo e studiando che cosa avviene “dentro la scatola”.
Justin “Mac” Long con il suo iPhone jailbreaked al Jimmy Kimmel Live
In campo informatico per interoperabilità si intende la capacità di diversi prodotti software di comunicare tra loro a mezzo dello scambio di dati, in questo modo chiunque è libero di sviluppare programmi per elaboratore che possano appoggiarsi e/o interfacciarsi con programmi già esistenti, estendendone le potenzialità ed aumentando i servizi per gli utenti, in poche parole, creare le famose “apps”.
L’art. 64 quater LDA afferma che non è necessaria l’autorizzazione del titolare dei diritti per ottenere l’interoperabilità e che a tale fine è possibile accedere ed intervenire sul codice sorgente del programma originale purché vengano soddisfatte alcune condizioni:
- Si abbia licenza per utilizzare il programma originale;
- Le informazioni necessarie per ottenere l’interoperabilità non siano già facilmente accessibili;
- Ci si limiti ad accedere e modificare il programma originale solo nei limiti del necessario.
Realizzare un’applicazione implica la nascita in capo all’autore dei diritti di utilizzazione economica e tra essi di decidere se, come e quando distribuire tale applicazione agli utenti.
Nel caso delle App per iPhone le cose sono un po’ più complicate del caso generico, perché gli sviluppatori possono vedere installati i loro prodotti sui terminali della “Mela” solo aderendo all’iPhone Developer Program.
Parte dell’accordo è anche l’accettazione delle condizioni esclusive di distribuzione previste, ovvero:
- Attraverso iTunes Store;
- Verso propri collaboratori e/o partner, ovvero verso altri soggetti, purché per scopi didattici e culturali.
In sostanza aderendo al programma gli sviluppatori pur mantenendo la titolarità dell’app concedono il diritto di distribuirla ad Apple, che infatti riceve un compenso del 30% del prezzo pagato dagli utenti per l’utilizzo di una copia.
Oltre quanto sopra i developer sono obbligati ad utilizzare solo API documentate e si sottomettono alla discrezionalità di Apple, che può decidere di distribuire o meno l’applicazione.
Rileva inoltre che iOS ha una “technology measure” che impedisce l’installazione di App di terze parti se non attraverso iTunes.
Inserire queste misure di protezione è facoltà del titolare dei diritti, in USA secondo la section 1201 del DMCA in Italia secondo l’art. 102 quater LDA.
Ricapitolando risulta evidente il paradosso: a norma di legge è possibile sviluppare applicazioni che si interfaccino con iOS ma ancora a norma di legge non è possibile installarle se non passando per iTunes, in quanto per farlo al di fuori del controllo Apple è necessario “sbloccare l’iPhone” con il Jailbreak, processo che viola l’art. 102 quater LDA.
Quid iuris in questo caso?
Negli USA nessun problema: il Jailbreak da circa un mese è legale, ma in Italia? Beh in Italia non abbiamo nessun ente di regolazione che si occupi dei temi del fair use e che preventivamente indichi che cosa sia possibile fare senza dover incorrere nelle furie di Cupertino.
Nel nostro caso potrebbe richiamarsi l’applicazione dell’art 64 quater LDA sopra illustrato. In fin dei conti sbloccare un iPhone non è forse un “azione per conseguire l’interoperabilità tra programmi per elaboratore”?
Purtroppo solo i Tribunali potranno dircelo; ad ogni modo è sintomatica l’assenza di casi portati all’attenzione delle corti.
A valle delle riflessioni precedenti risultano interessanti anche le dichiarazioni immediatamente successive alla triennal review. A Cupertino hanno subito precisato che, legittimo il Jailbreak, in ogni caso, effettuato lo sblocco, l’utente perde il diritto alla garanzia in quanto ha violato le condizioni di utilizzo previste all’acquisto.
Il jailbreak effettuato sull’iPhone 4 di GeoHot
Qualche dubbio interpretativo rimane anche in questo ambito. Innanzitutto la clausola di limitazione della garanzia è vessatoria e il contratto in cui essa è contenuta è standard, in questo senso la sua accettazione deve essere specificamente sottoscritta.
Al di là di questo però c’è un argomento più forte: se sbloccare il terminale può essere inteso come un esercizio delle eccezioni per ottenere l’interoperabilità, significa che l’utente esercita un diritto riconosciuto da una norma imperativa.
Una clausola che limiti l’applicazione di una norma imperativa deve ritenersi nulla con la conseguenza di dover indagare se l’intero patto contenente la clausola nulla, in questo caso il contratto fra Apple e l’utente finale, venga da essa contaminato (e quindi sia anch’esso invalido), ovvero se la nullità sia semplicemente parziale ai sensi del 1419 c.c., in quanto le parti avrebbero comunque voluto l’accordo anche in assenza di una limitazione di garanzia.
Concretamente: non può essere il jailbreak in sé che invalida la garanzia, ma deve essere l’installazione di una App di terze parti non certificata come compatibile che provocando un problema software esonera Apple dall’obbligo di mettere a posto il vostro iPhone. L’App Store, vera gallina delle uova d’oro e indiscutibile traino della costante crescita delle vendite di dispositivi iOS, è allo stesso tempo fonte di spinosi problemi la cui soluzione Apple non può più rimandare.
secondo me i punto è un altro: la pratica, così come viene effettuata ora, è illegale sia in italia che all’estero per il semplice fatto che nell’effettuare il jailbreak viene utilizzato e modificato codice di proprietario apple. il jb come concetto sarà pure legale ma all’atto pratico non è così.
Per quanto riguarda l’AppStore il discorso ha una certa spinosità. Liberalizzare la diffusione delle applicazioni, riducendo i controlli al minimo, implica situazioni come quelle verificatesi su Android negli ultimi tempi (data stolen e simil virus). Ciò che forse dovrebbe fare Apple è rendere più chiari i punti per cui un’applicazione può essere rifiutata, agli sviluppatori verrebbe risparmiato il patema d’animo del passaggio dallo stato di In Review a Ready For Sale.
Come dice Della, la pratica sarebbe legale, ma vengono usati file modificati Apple e quindi è illegale..
I 3 punti di forsa di Apple sono : Prodotto, Prodotto, Prodotto. Quello che danno come HW e SW è una “esperienza d’uso” unica. Permettere a terzi di modificare HW o SW vuol dire interferire con questa esperienza, quindi perdere il controllo su cosa succede ai loro device. ritengo personalmente corretto questo modo di fare. Nessuna obbliga ad acquistare i loro prodotti, tantomeno nessuno obbliga a diventare sviluppatori……Provate voi a modificare il motore o la carrozzeria dell’auto e poi andatavi a lamentare dal concessionario…. :-))
@Della: nell’articolo è scritto esplicitamente che, per ottenere l’interoperabilità, è consentito modificare il codice, a condizione di farlo il meno possibile.
@Simone: se io installo un impianto GPL su una macchina e poi mi si rompe la carrozzeria, assolutamente è in garanzia (e lo dico anche per esperienza). Se io faccio jailbrak e si crepa il vetro, perché mai non dovrebbe essere in garanzia? Diverso è se il malfunzionamento deriva dal JB stesso.
Nessuno mi obbliga a comprare un iPhone, ma dal momento che diventa mia proprietà, perché dovrei essere io obbligato a non farci quello che mi pare?
@ Settolo:
Tu diventi proprietario del ‘pezzo di ferro’ non del sistema operativo che viene dato in licenza d’uso!
@Max: di questo si potrebbe discutere. Io sono proprietario eccome del software o, meglio, della licenza di utilizzarlo secondo particolari regole. E, mi par di capire, le regole della licenza sono contrarie alla legge italiana, che consente di modificare il software originale per garantire l’interoperabilità. Ovviamente, la legge italiana vince sulla licenza.
Per quanto riguarda la proprietà dell’hardware piuttosto che del software, si sono spesi fiumi di inchiostro ad esempio sul diritto ad acquistare un portatile e farsi rimborsare il costo di windows pre-installato, se si decide di non utilizzarlo.
Se installo su iPhone un sistema operativo opensource, Apple ritiene non valida la garanzia anche se si danneggia il “pezzo di ferro”? Perché, se il “pezzo di ferro” è mio, non posso installarci il software che mi pare?