Tre degli editori coinvolti hanno già patteggiato, mentre Apple e altri due publisher sono intenzionati ad affrontare il dibattimento. Secondo un editoriale di L.G Crovitz pubblicata ieri dal Wall Street Journal questa è la scelta giusta, perché l’impostazione del caso scelta dal DOJ sarebbe palesemente sbagliata perché imperniata sulla presunta illiceità, per se, dell’agency model.
Il succo della strategia difensiva di Apple potrebbe stare tutta in una citazione del SVP Internet Services Eddy Cue riportata da Crovitz e risalente a circa un anno fa.
“Non credo che capiate,” disse Cue al tempo. “Non possiamo trattare i giornali o le riviste in maniera diversa dal modo in cui trattiamo Farmville”.
In quell’occasione Crovitz aveva incontrato Cue a Cupertino per discutere modalità di distribuzione alternative dei prodotti di alcuni publisher sull’iTunes Store.
La linea era dunque già chiara e tracciata: agency model per tutti i contenuti che passano attraverso il sistema iTunes.
Riviste, applicazioni per iPhone, iPad o Mac, canzoni. Non c’è alcuna differenziazione sulla base dei contenuti e tutti sono soggetti allo stesso modello. Perché per i libri Apple avrebbe dovuto fare un eccezione?
Questo punto nodale, abbastanza semplice da comprendere per chi quotidianamente ha a che fare con il sistema iTunes, appare invece alieno al Department Of Justice, che con un tentativo legalmente stiracchiato, spiega Crovitz, sta tentando di convincere la corte che Apple avrebbe proposto agli editori il suo modello appositamente per favorire la creazione di un trust anticoncorrenziale nel mercato degli eBook.
Crovitz non sviluppa oltre il ragionamento e omette di dire che questo non significa che gli editori non si siano effettivamente incontrati per accordarsi su una strategia comune. Il fatto c’è stato ma il DOJ avrebbe di fatto sbagliato ad imporre la propria visione con una causa che da una parte attacca sul fronte sbagliato e dall’altra favorisce di fatto Amazon, che può esercitare il proprio monopolio sul mercato in questione. Amazon che, nemmeno a farlo apposta, ha ricominciato ad abbassare drasticamente i prezzi degli ebook a seguito della causa depositata dal dipartimento di giustizia.
La natura monopolistica delle operazioni di Amazon nel mercato dei contenuti editoriali non è legalmente da sottovalutare. Se Apple può giocarsi la strategia difensiva dell’agency model che non varia per nessun soggetto operante nel suo ecosistema di distribuzione, gli editori possono invece fare leva sul fatto che la loro “unione d’intenti” fosse motivata dalla necessità di combattere un sistema di distribuzione degli ebook, quello sì anticoncorrenziale, basato su un modello che permette all’incumbent di sbaragliare tutti quanti vendendo contenuti sottocosto o addirittura in perdita.
La posizione del consumatore, che il DOJ sembra voler difendere dalle angherie dei grandi editori, non è facile da delineare. La questione è complessa e ricca di sfaccettature, perché non tutti i libri e non tutte le edizioni sono uguali. Ma si può riassumere almeno in parte dicendo che se è vero che Amazon permette di risparmiare sul costo degli ebook vendendo bestseller a 9,99$, è pur vero che se quel modello è tale da mettere in difficoltà economica gli editori ci saranno sempre meno bestseller e prodotti di qualità.
Gli editori sono un’entità vecchia, simbolo di un potere di mezzo fra creatori di contenuti e fruitori che nella maggior parte dei casi ingloba la maggior parte dei proventi delle vendite dei libri. Ma lasciatemi dire che, a differenza di quanto accade per la maggior parte delle major musicali, gli editori hanno ancora una funzione di editing e selezione importante e la loro esistenza, culturalmente rilevante, non è realmente d’intralcio all’espansione di un mercato di auto-produzione e auto-editing che proprio grazie ad Amazon negli Stati Uniti ha potuto fiorire.
Certo, gli editori devono accettare il cambiamento, sapersi adattare ad un mercato nuovo e in evoluzione, che fra le altre cose comprende anche l’accettazione di un modello di distribuzione nuovo come quello proposto da Apple. Qui da noi, paradossalmente, è proprio ciò che gli editori, a differenza delle controparti statunitensi, sono più restii ad accettare. E infine mi chiedo: che senso ha vendere “all’ingrosso” un contenuto dematerializzato come il libro elettronico, riproducibile in massa senza spesa alcuna? Non è forse un artificio anticoncorrenziale più grave della vendita di un libro ad un prezzo alto, senza limiti sul numero di copie, il cui successo sarà deciso direttamente dal numero di tap sul tasto “buy” dell’iBookstore da parte del consumatore e che, se l’editore vuole, può essere letto su tutte le piattaforme che supportano il diffusissimo formato ePub?
Infatti il problema non è il modello agenzia, o per meglio dire il modello dove il proprietario dei diritti stabilisce il prezzo, il problema è che c’è l’accusa di un accordo affinchè i prezzi fossero uguali in qualsiasi store di fatto tarpando le ali alla concorrenza.
Se quest’accordo fosse stato comcordato su richiesta di apple per cupertino i guai potrebbero esserci, se invece è una strategia dei soli editori potrebbe essere esclusa, resta il fatto che 3 su 5 editori hanno ormai acconsentito a rinunciare al prezzo imposto ed è difficile che ormai si tormi indietro anche se questo va a vantaggio del monopolista del caso.