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iPad a scuola e libri di testo digitali: il parere di chi sta già sperimentando

Nei giorni successivi all’evento del 19 gennaio scorso dedicato all’istruzione, durante il quale Apple ha introdotto un nuovo formato di libro di testo per iPad, iBooks 2 e il software iBooks Author, ci siamo interrogati su cosa potessero significare davvero queste novità per l’istruzione e su quale possa essere il reale impatto  di questa “rivoluzione” (di certo la divisione marketing di Apple la considera tale) a fronte di tanti piccoli o grandi dubbi che inevitabilmente sono sorti nei giorni successivi.
Per capire di più quali implicazioni possa avere il nuovo set di strumenti didattici che Apple ha fornito agli educatori, e soprattutto quali potenzialità ci siano per i libri di testo digitali nel nostro Paese, ho chiesto un parere a Dianora Bardi, docente, presidente di NetPoleis, ricercatrice sui temi dell’applicazione della tecnologia alla didattica e soprattutto ideatrice e prima sostenitrice del progetto sperimentale di introduzione di iPad ed eBook reader in classe attualmente in corso presso il Liceo Scientifico Lussana di Bergamo.

Avevo già intervistato la Professoressa Bardi in occasione dell’avvio della sperimentazione, a settembre 2010. Era inevitabile che la nostra “chiacchierata” partisse da un aggiornamento su quella esperienza.
Il risultato del primo anno e mezzo di sperimentazione è stato più che positivo. Gli studenti pionieri della 4aL continuano il loro percorso anche quest’anno (come 5aL) e si preparano ad affrontare la maturità con l’inevitabile ansia cui si si somma l’incognita di un percorso didattico totalmente nuovo.
L’anno scolastico 2011/2012 al Lussana si è aperto con l’inserimento di altre 4 prime classi, da 30 studenti ciascuna, nella sperimentazione.
Le classi sarebbero potute essere molte di più, le richieste di iscrizione, grazie alla prospettiva di utilizzare uno dei prodotti tecnologici più richiesti del momento come strumento di studio, sono più che duplicate rispetto all’anno precedente. Ma in accordo con il Preside, Bardi ha preferito limitare il numero di classi in modo che lei e i 25 docenti del Lussana che aderiscono alla sperimentazione non si dovessero trovare a disperdere le forze per poter seguire un numero di studenti troppo vasto.

Quello che dal di fuori non è immediatamente evidente, e che Bardi ha tenuto a mettere più volte in chiaro durante la nostra conversazione, è che quello in corso al Lussana è principalmente un percorso di ricerca sulla trasformazione tecnologica della didattica. E’, in primis, un duro lavoro di modellazione, operato su base scientifica, di forme nuove dell’insegnamento e soprattutto di modellazione delle modalità di formazione degli insegnanti, coloro che più degli alunni hanno bisogno di fare uno sforzo per adattare il proprio metodo consolidato ai cambiamenti imposti dall’introduzione delle nuove tecnologie.

E’ un lavoro che copre un gap enorme. Il feedback ottenuto dal progetto parla chiaro: gli insegnanti vogliono formazione digitale, ce n’è ampia necessità. Dall’alto, dove fino a pochissimo tempo fa si parlava di tunnel per neutrini inesistenti e il massimo dell’innovazione consisteva in filmati grigiastri con proclami a pappardella schiaffati alla bene e meglio su YouTube, non arriva nulla.
La ricerca di Bardi e dei suoi colleghi diventa allora unico appiglio e faro per un corpo docente sfiduciato e abbandonato su temi di vitale importanza per la formazione in tutti i gradi scolastici.

L’errore peggiore, mi spiega Bardi, è quello banalissimo di confondere contenitore e contenuto. Per molte scuole “sperimentazione” significa comprare i tablet e fornirli agli alunni, senza altra iniziativa, mentre i docenti, che non sanno sfruttare la tecnologia, continuano con lezioni frontali e libri di testo cartacei.
E’ in questo contesto che si verificano alcune di quelle situazioni – distrazione degli utenti e tendenza ad utilizzare l’iPad per scopi diversi dallo studio – che possono venire subito alla mente come principali aspetti negativi dell’introduzione in classe di un dispositivo come il tablet Apple.

Al Lussana, dove i docenti sono parte della sperimentazione assieme agli studenti, il risultato è più che incoraggiante. Il lavoro in classe diventa costantemente cooperativo e lo stesso accade per il lavoro fuori dalla classe, e in momenti della giornata diversi dalla canonica mattina.
La collaborazione è dunque drasticamente aumentata non solo fra gli studenti (con un incoraggiante livellamento verso l’alto delle competenze, della preparazione e di base anche delle valutazioni) ma anche fra i docenti stessi. E, soprattutto, fra docenti e studenti.
Questo perché i primi a mettersi in discussione, ci tiene a dirmelo più volte Bardi, sono i docenti che hanno accettato di lavorare di più, rimettersi a studiare, rivedere i propri metodi, scoprire i propri limiti tecnologici al fine di superarli.

Il ruolo di iBooks Author e iBookstore

In questa prospettiva di sperimentazione avviata, che ruolo hanno dunque le novità introdotte da Apple all’evento NewYorchese?
La Professoressa Bardi mi conferma un’impressione che tutti abbiamo avuto prima dell’evento e poi successivamente: le grandi novità nell’ambito dei libri di testo riguardano principalmente gli Stati Uniti. Questo perché il mercato dei libri di testo che Apple vorrebbe provvedere a riformare è principalmente quello americano.

Per gli editori scolastici italiani, ad esempio, iBookstore non ha alcun appeal. “Hanno già una loro piattaforma”, mi dice Bardi, svelando un progetto che al sottoscritto, in tutta sincerità, non diceva nulla. E che forse non dice nulla nemmeno a chi, come molti dei nostri lettori, ha lasciato la galassia “scuola dell’obbligo” ormai da diversi anni.
Si chiama Scuolabook ed è una piattaforma di distribuzione digitale dei libri curata da Hoplo e avallata da alcuni dei maggiori nomi dell’editoria scolastica italiana.
E’ un progetto che promette di fornire libri digitalizzati disponibili su qualsiasi piattaforma, che soffre degli inevitabili limiti di questo tipo di iniziative. I libri costano ancora tanto e sono, nella stragrande maggioranza dei casi, semplici PDF, non c’è interazione, non sono multimediali: sono una banale traslazione digitale del libro di testo. Nella miglior tradizione del mercato dei contenuti, si intravede il tentativo di tradurre tecnologicamente anche i limiti fisici del supporto sui quali si basa, almeno in parte, la sicurezza del business model di questo settore dell’editoria.

E non è forse questo il classico esempio di mercato stagnante che Apple, con le sue novità nel settore, potrebbe aiutare a rivoluzionare?
“E chi li dovrebbe scrivere questi nuovi libri? Il professore?” mi chiede Bardi. La risposta è ovviamente no, perché “gli autori ne sanno centomila volta più di noi insegnanti, ed è giusto che i libri li scrivano loro”.

iBooks Author non è, almeno sul mercato italiano, la leva che potrebbe sollevare il mondo dell’editoria scolastica. O meglio, non lo sarà finché qualche editore non vorrà provare anche quella strada, che al momento però non conviene di certo a fronte di un’offerta che oltre ad essere più semplice da realizzare (la digitalizzazione si traduce di fatto in una conversione in PDF di materiale che da qualche anno a questa parte è già digitalizzato) è più conveniente, meno impegnativa, e automaticamente multipiattaforma.

L’interattività degli iBooks è la chiave, secondo Apple, per fare breccia fra gli studenti e offrire loro supporti nuovi che mantengano intatto il valore del contenuto e lo arricchiscano grazie alle infinite possibilità di uno strumento come l’iPad.
Ma è anche una visione, credo di capire parlando con Bardi, che tende a favorire quella situazione ricorrente in cui il dispositivo tende a diventare il Santo Graal dell’innovazione e la natura interattiva di un contenuto unico obiettivo di un processo di digitalizzazione dell’apprendimento.

Questa equazione – libri interattivi equivalenti a strumento di engagement nelle mani di un corpo docente ben formato – vale forse nella scuola americana, dove, bene o male e a parte eccezioni e casi estremi, la “missione” dell’insegnante gode ancora di uno status differente e il meccanismo della formazione dell’insegnante ha ancora un ruolo fondamentale (non dimentichiamo che l’insegnante medio della scuola statunitense è assunto e licenziato da un dirigente scolastico anche sulla base della propria capacità).

Nella scuola italiana, e Bardi è chiarissima su questo punto, nessun nuovo strumento può assurgere automaticamente a questo ruolo perché, ancora una volta, nessuna tecnologia può arrivare direttamente sui banchi in maniera proficua senza che vi sia un’adatta revisione del meccanismo didattico da parte degli insegnanti. “Le app e i dispositivi Apple sono imbattibili sotto il punto di vista dell’interfaccia utente, sono utili, belle e realizzate benissimo. Ma non si va lontano, neppure con le app più belle del mondo a disposizione, se non si cambia la didattica”.
In questo senso gli iBooks e iBooks Author sono ottime aggiunte, tecnicamente molto avanzate, capaci di grandi semplificazioni, nelle mani di un corpo docente come i “26 del Lussana”, che vive la trasformazione ogni giorno sulla propria pelle e la affronta da un anno e mezzo con lo studio sistematico di tutti gli strumenti disponibili. Sono semplici aggiunte nel mare magnum dell’offerta tecnologica attuale, utilissime per chi, come Bardi e colleghi, sa come posizionarle nella cassetta degli attrezzi che gli insegnanti condividono fra di loro e con gli alunni.

Didattica nella nuvola

Una cassetta degli attrezzi che per la professoressa Bardi deve essere forzatamente “device agnostic” e che ha principalmente la  forma di una nuvoletta. La didattica cloud è la vera chiave di lettura del lavoro di Bardi e dei suoi colleghi, la vera innovazione che per la professoressa ha realmente reso possibile la piccola grande rivoluzione di cui il Liceo Lussana è un po’ la Sala della Pallacorda.
La condivisione assume ad esempio nuovi significati grazie a strumenti come Dropbox, o grazie a tutti i software che permettono alle classi di mantenersi costantemente aggiornati in parallelo sui documenti, sulle fonti e su tutto il contenuto necessario grazie ad una sincronizzazione nel cloud cui tutti possono accedere in ogni momento, mi spiega Bardi.
E’ con evidente trasporto che mi racconta di come alcune delle barriere tipiche dell’insegnamento (quelle fisiche, in primis, ma anche quelle interpersonali fra insegnanti e studenti) siano venute meno grazie alle nuove possibilità di condivisione istantanea.

La conseguenza necessaria di questo approccio condiviso è una generale trasversalità, sia disciplinare che interdisciplinare.
Ancora una volta è la didattica che in primis si adatta, coscientemente e secondo percorsi studiati e modellizzati dalla ricerca di Bardi, alle nuove possibilità offerte dalla condivisione in Rete. E alla fine cade l’ultima grande barriera, quella che generazioni di studenti hanno sempre riconosciuto, a priori, come uno dei grandi limiti della propria formazione: la suddivisione in compartimenti stagni delle materie di studio.
Quello che in passato era appannaggio solamente di insegnanti illuminati dotati di un eclettismo sui generis che si scontrava comunque con la “compartimentalità” dei colleghi più barbosi, oggi è possibile attuarlo con facilità, se i docenti ne sono consapevoli, grazie alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie.

Dalla lunga “chiacchierata” che ho avuto il piacere di fare con la Professoressa Bardi, i libri di testo per iPad, intesi come entità demiurgica capace di rivoluzionare la scuola grazie alla loro stessa esistenza, ne sono usciti certamente ammaccati. Fra le novità Apple nel settore dell’istruzione quella che sembra godere delle potenzialità maggiori nell’ambito di una sperimentazione come quella del Lussana è anche la meno discussa, ovvero iTunes U App, l’applicativo per iPad e iPhone deputato all’organizzazione della condivisione e della raccolta trasversale di contenuti di qualità disponibili gratuitamente su iTunes U (“University”).

In conclusione: didactics is king

Anche perché, mi rivela Bardi, i suoi alunni i libri di testo li hanno abbandonati un anno e mezzo fa. E’ stato un distacco netto, ma non totale. Ogni classe ha ancora il suo armadio dei libri, in cui vanno a finire volumi di ogni genere, compresi i libri di testo che i professori ricevono dalle case editrici ogni anno. Gli studenti sono liberi di consultarli quando vogliono e quando ne sentono il bisogno. Per il resto il lavoro collegiale della classe, sotto la supervisione del docente, prevede anche la realizzazione di ebook ottenuti grazie all’unione di più fonti reperite sia online che su libri di ogni genere. “Ogni classe crea il suo ebook di testo durante l’anno”, mi spiega Bardi. “I ragazzi cercano il materiale con il nostro aiuto e noi gli insegniamo come si fa ad attribuire le fonti e a verificarle”. Un passaggio fondamentale nel modello di didattica nuova del Lussana, grazie al quale gli studenti sono costretti a creare il proprio percorso (sotto stretta supervisione) senza che vi siano solo i contenuti monolitici del libro di testo come punto di riferimento.
E’ per questo, mi pare di capire, che la professoressa quando ci siamo sentiti non aveva ancora provato iBooks Author a fondo. Sapeva che i suoi studenti avevano già preso possesso della novità e non dubitiamo che nei giorni trascorsi dalla nostra intervista ad oggi qualcuno dei ragazzi della 5aL le abbia già spiegato che adesso avrebbero potuto integrare quel filmato o quell’altra presentazione in un documento multimediale che poi avrebbero potuto condividere tutti assieme sui rispettivi iPad.

E’ difficile dire se questa prospettiva nuova possa spaventare di più gli studenti o gli insegnanti (credo che scommetterei sui secondi se me lo chiedessero esplicitamente) ma è evidente che è da qui che passa la scuola del futuro.
iBooks Author e gli iBooks dunque come utilissimi strumenti che trovano il loro posto in una visione in cui nessuno strumento è di per se totalizzante, gli insegnanti accettano la necessità di una ri-formazione della loro figura di docenti (che non scaturisce dalle belle teorie discusse nelle aule universitarie di scienze della formazione ma nasce da chi fa ricerca stando in mezzo ai ragazzi, “sporcandosi per primo le mani”) e gli alunni imparano nuove forme di collaborazione felici che per una volta un’imposizione come la scuola diventi una scusa valida per comperare un oggetto come l’iPad. Felici almeno fin quando non si accorgono di lavorare il triplo dei loro colleghi, sia in classe che a casa. Eppure finora non c’è stato alcun esodo di massa dalle classi del Lussana, mentre decine di altri istituiti in tutto lo Stivale hanno chiesto di partecipare alla sperimentazione secondo il modello che Bardi e colleghi stanno studiando sul campo Bergamo e di aderire alla rete “Sperimentando” in convenzione con il Lussana. Qualcosa si sta decisamente muovendo.

Per approfondire:

  • Ebook “Oltre la carta” – libro digitale realizzato dagli studenti e dai docenti del Lussana per illustrare il primo anno di sperimentazione didattica con l’iPad.
  • NetPoleis: network di  organismi, istituzioni, associazioni e società civile per promuovere  la ricerca e l’innovazione scientifica e tecnologica, il trasferimento tecnologico, lo sviluppo  e per  coordinare iniziative volte ad avviare e diffondere azioni di salvaguardia e sviluppo delle comunità e dell’ambiente
  • DidattiCloud Unconference – una non conferenza (conferenza senza relatori definiti a priori) per lo scambio e la condivisione di esperienze sulla didattica digitale che si terrà il 20 marzo 2012 alle 9:00 presso la sede di FAST (Piazzale Morandi 2, Milano). Parteciperà, fra gli altri, anche Derrick De Kerckhove. Si può partecipare gratuitamente, ma è necessario prenotare.
  • Imparadigitale.it – sito fondato dalla Professoressa Dianora Bardi e dai suo colleghi del Centro Ricerche. “Imparadigitale è nato per offrire all’Italia e all’Europa il proprio servizio per lo sviluppo della scuola digitale. Il gruppo di lavoro che ha fondato Imparadigitale è composto da insegnanti di scuola, sviluppatori di software, esperti di politica e di ICT e docenti universitari che hanno messo insieme le proprie idee sull’educazione e la propria visione su cosa maggiormente occorra oggi alla scuola in Italia. Particolare riguardo è riservato all’inserimento della didattica nel mondo delle ICT”. Verrà presentato ufficialmente durante l’unconference del 20 marzo.

Photo Credits | Getty Images
Ultimo aggiornamento – 2 febbraio: apportata correzione alla descrizione del sito ImparaDigitale, aggiunto link alla sezione “sperimentando” del sito del Liceo Lussana.

Redazione

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  • Ammesso di non aver preso un granchio, il succo é sempre lo stesso: bisogna investire risorse (non solo economiche) nella scuola, per avere dalla scuola un ritorno.
    Questo cozza un po' con quanto fatto sino ad ora.

    In ogni caso: interessante articolo, grazie.

  • In Italia sebbene siamo indietro 20 anni anche nei confronti del Africa; siamo nel 2014 e i nostri figli dovrebbero avere tutti i libri su ipad ...basta tutta quella carta inutile ...

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