Il giornalista francese Jordan Pouille, corrispondente da Pechino per il periodico francese La Vie, poco prima di Natale è tornato a visitare gli stabilimenti Foxconn di Shenzen, in cui già era stato a giugno. Ne ha scritto sul suo giornale e sul suo blog, ha fatto molte foto e un video. E’ una testimonianza importante e precisa, che mette a nudo qual è il vero problema di Foxconn e che dovrebbe essere letta da chiunque abbia ricevuto in regalo per Natale un iPhone o un altro prodotto marchiato Apple, Nokia, Sony, HP (…).
Pouille racconta le storie di alcuni degli operai-ragazzini di Shenzen. Non c’è sfruttamento di lavoro minorile, ma praticamente tutti i dipendenti che vivono e lavorano nella iPod city hanno un’età compresa fra i 18 e 23 anni. Foxconn non vuole impiegare manodopera più “vecchia”. E’ uno dei parametri che secondo l’azienda del magnate Terry Gou favorisce la produttività, al pari dell’organizzazione scientifica delle fasi di lavoro e alla disciplina militare cui bisogna sottostare per non essere licenziati.
Le condizioni di vita degli operai di Foxconn, ci dice Pouille, sono ampiamente al di sopra della media cinese. Da questo punto di vista i dipendenti di Foxconn possono considerarsi dei privilegiati. La comparsa di negozi per la vendita di gadget elettronici e di noti brand occidentali per le vie dei quartieri dormitorio dimostra come gli operai di questi stabilimenti abbiano guadagnato un nuovo potere d’acquisto. E’ il frutto dei sensibili aumenti che l’azienda ha corrisposto a questi lavoratori da giugno ad oggi, una delle soluzioni tentate da Foxconn per porre fine all’ondata di suicidi che ha sconvolto lo stabilimento di Shenzen nel corso dei primi sei mesi del 2010.
Soluzioni che almeno in alcuni casi Pouille non esista a definire kafkiane. Il servizio di supporto psicologico telefonico istituito dall’azienda è soltanto un call center in cui lavorano alcuni dipendenti senza preparazione specifica, istruiti con un rapido corso di psicologia. Il risultato è che non c’è nessun rapporto fra un operaio e lo psicologo, né tanto meno vi è alcun riserbo professionale su ciò che il dipendente che chiede “aiuto” al centro di supporto psicologico rivela all’operatore.
Tutto va gestito dall’interno per Foxconn, come in un grande alveare. Anche la sicurezza, tanto che spesso chiamando il numero della polizia da un’area ricompresa entro i confini della struttura non è difficile che risponda l’ufficio delle guardie aziendali. E tutto va mantenuto strettamente segreto, controllato e organizzato.
E proprio l’organizzazione ferrea del lavoro, la ripartizione scientifica dei turni, delle mansioni, delle pause dei 300.000 lavoratori è il vero problema di questa enorme megaditta che sforna ogni giorno quantitativi inimmaginabili di prodotti elettronici che finiranno sul mercato occidentale.
Durante il turno di lavoro (13 ore al giorno, straordinari inclusi, per sei giorni la settimana) il lavoratore non ha contatto se non con il proprio superiore e con i pezzi – migliaia – che continuamente deve assemblare. Non c’è scambio umano, se non durante le pause di 10 minuti ogni 2 ore. Le offese e le ingiurie che i capireparto rivolgevano ai lavoratori sono sparite, non più tollerate dopo l’ondata di suicidi, ma sono state sostituite dall’indifferenza e dal silenzio.
La spersonalizzazione del lavoratore continua anche lontano dalle linee, contributo costante ad uno sfruttamento che se non è economico, è almeno psicologico. L’azienda sembra applicarsi con metodo studiato per impedire la socializzazione fra i dipendenti, vista come un rischio per la produttività. Dimostrazione esemplare di questo approccio è ad esempio l’assegnazione dei posti letto nei dormitori. Gli operai non possono sceglierli ma vengono loro impartiti dall’alto, secondo schemi che tendono a minimizzare la possibilità di congiungimento fra persone che già si conoscono o già sono amiche.
L’unico giorno in cui gli operai sono capaci di sorrisi è il loro giorno libero, quando possono spendere i propri guadagni in piaceri che altri loro coetanei, nelle aree rurali da cui vengono, non potrebbero mai permettersi. Sono sorrisi che sfoggiano per le foto che mandano ai genitori, ai quali non vogliono rivelare davvero quali siano le condizioni di lavoro che durante la settimana sono costretti a subire, e agli occhi dei quali vogliono apparire come giovani di successo che hanno deciso di migrare per trovare un lavoro e una situazione migliore di quella da cui sono partiti.
L’affascinante reportage di Jordan Pouille si può leggere su La Vie (in francese, registrazione gratuita necessaria). Un lungo “riassunto” personale dell’autore, in inglese, corredato da numerose fotografie si può leggere invece sul suo blog.
Il problema di fondo è un altro, e di respiro più ampio.
Le condizioni lavorative in tutta la Cina sono a dir poco tremende; nella sola capitale Shanghai le ditte non garantiscono alcun ambiente lavorativo sanitaria “ottimale” (a noi occidentali) ed hanno turni di lavoro di 15 ore giornaliere.
In Foxconn ci sono delle condizioni di lavoro che nel 99% delle industrie dell’Est sarebbero considerate a dir poco progressiste per quanto sono “vicine” ai dipendenti (negozi interni, posto letto, mensa, stipendio garantito, 13 ore di lavoro massimo…).
Come citato dall’articolo di Pouille, “Le condizioni di vita degli operai di Foxconn, sono ampiamente al di sopra della media cinese. Da questo punto di vista i dipendenti di Foxconn possono considerarsi dei privilegiati.”
Mi fa solo riflettere che tutto questo sia stato strumentalizzato a “sfavore” di Apple che, come da articoli pubblicati , rappresenta solo il 7% della produzione della ditta (HTC da sola genera l’38% della produzione totale Foxconn mentre Nokia il 26%).
E’ brutto da dire, ma Foxconn è una ditta moderna e vicina ai dipendenti se si vede la media di tutto il far east.
@ SimoTello:
a me fa schifo pensare che progressista significhi questo
Ho apprezzato molto il commento di SimoTello, e ne condivido pienamente il contenuto.
Spesso si fa della facile ipocrisia: è ovvio che, se le condizioni dei lavoratori asiatici fossero più umane, noi pagheremmo per i prodotti dei prezzi più alti, e non si tratta certo di un discorso limitato alla Apple!
E’ altrettanto ovvio che il sistema economico cinese e la sua vertiginosa crescita si basa anche su questo tipo di sfruttamento della manodopera.
E’ parimenti ovvio che i nostrani paladini della libertà e della democrazia, quando si tratta di interessi economici, hanno delle curiose “amnesie” riguardo alle dittature… Gheddafi? E chi è? Tien An Men? Che cos’è, una pietanza?
Non mi pare che esista un modello di “tecnologia equa e solidale”. Non possiamo dimenticare che il nostro benessere è ampiamente sostenuto da secoli di saccheggio selvaggio dell’Asia, dell’Africa e del Sud America.
Esserne consapevoli è già qualcosa: per questo l’articolo-inchiesta di “La Vie” è molto utile e meritorio. Non certo per bersagliare la “solita” Apple dimenticando HTC, Nike, Nestlè, Monsanto e compagnia bella!
Tanti auguri a tutti!
Sono allibito. iMarco, SimoTello, ancora esiste qualcuno che ragiona con la propria testa. Commenti intelligenti e pacati. Sono compiaciuto.
A mio avviso l’articolo (per quanto ben redatto) peccava di qualche commento, magari anche solo conclusivo, dell’autore (Camillo Miller). Giusto per aggiungere un po’ del proprio e renderlo meno pedissequo. Tuttavia cio’ é stato fatto dai commenti.
Chissa’, forse era proprio questo l’intento.
=D
Il vostro Blog é sempre una piacevole lettura. Complimenti.
Hai intuito Fulvio, non ho voluto commentare proprio per quello. Il mio intento era presentare ai lettori l’interessante inchiesta nel modo più fedele all’intento di Pouille.
Forse una cosa che ho dimenticato di mettere bene in evidenza, e che a mio parere depone ampiamente a favore di Pouille e rende il suo articolo migliore rispetto ad altri simili che si sono letti in passato, è l’ammettere che Apple viene presa ad esempio e legata a Foxconn per la qualità del brand. E’ una sorta di vettore per meglio veicolare le informazioni su Foxconn, in buona sostanza ed essendo un’azienda di eccellenza dovrebbe fare da esempio. Una visione che si può condividere o meno, ma per lo meno è esplicita e dichiarata.
Riporto il passaggio in questione:
If i want to focus on Apple, it’s not for my glory but because i am using this brand which i appreciate very much, like more and more chinese people here (I live in Beijing but i am always stunned to see the long queues at the Sanlitun village Apple store at 10 am, where a Iphone easily costs a 1 month salary).
Apple’s prices are global, its products are all the same whatever the market and yet, this successful and trendy brand fails to have a global staff strategy. I would understand us turning a blind eye on HP practices because we all enjoy very cheap hp products but for Apple… no. We should make corporate social responsibilty a rule and force Apple to find supplier who offer acceptable working week (not 80 to 100 hours a week). Big companies which build their image through innovation should also innovate in terms of labour practices. Here it still looks like practices from the Industrial revolution 100 years ago.
@ Anarchj: Hai ragione. Fa parte dell’ipocrisia di cui parlavo nel mio commento.
Ancora una volta, tutto è relativo, niente e assoluto e ciascuno parla come gli fa comodo… “Così è (se vi pare)”.
Un iPhone non costa un mese di salario a Shenzen ma spesso e volentieri anche a molti coetanei italiani, ma più che le fabbriche della Foxconn io andrei a vedere quelle della concorrenza, ma soprattutto dove vengono prodotti gli alimenti esportati nel resto del mondo oppure le acciaierie o le catene di montaggio delle automobili… Questi ragazzi sono davvero dei privilegiati in Cina, immaginate gli altri!! :(
Prepariamoci perchè per lottare sul mercato globale quella sarà anche la nostra strada. Buone feste
@ gigiux:
Non sono d’accordo
la svolta ci sarà quando anche Cina, India e compagnia cantante si accorgeranno che i lavoratori sono persone. E qualcuno comincerà a farsi ammazzare in nome delle assicurazioni contro gli infortuni, delle ferie, dell’assenza per maternità.
Nel mercato globale sono gli altri che devono avanzare, non certo noi a dover tornare indietro 50 anni. Ora bisogna, più di tutto, stringere i denti
@ Matteo:
non schetziamo non avverrà mai saremo noi a tornare indietro advuna sorta di mecioevo dei lavoratori
@ gigiux:
Sono purtroppo d’accordo con te… chissà quante volte è già successo in Cina, ciò che dice Matteo, ma obiettivamente la reazione è a dir poco indecente! Basti vedere quanto è stato fatto per la consegna dei premi Nobel o durante l’angelus di questo Natale, dove durante il discorso del Papa, mentre parlava delle libertà, con esempi concreti inerenti la Cina, hanno oscurato il canale…
I tempi e le tecnologie (anche militari) sono cambiate, non siamo più nel 1800, se qualcuno si ribella viene ucciso e viene nascosta l’informazione…la Cina comincia ad essere davvero una minaccia per l’equilibirio sociale mondiale…