Dopo aver fatto attente panoramiche sul
mondo del p2p, oggi voltiamo pagina. Dalle prossime puntate vedremo insieme degli interessanti
programmi per il p2p e Mac, ma, oggi vogliamo trattare della
legislazione italiana a riguardo. Senza scendere in particolari comprensibili ai soli addetti ai lavori, vorremmo mettervi a conoscenza dei
possibili reati in cui incorre un downloader. Conosciamo insieme la questione.
Sappiamo che l’argomento che stiamo per trattare in questa puntata non è dei più interessanti, ma, allo stesso tempo sappiamo che non è possibile parlare di p2p senza sapere qualcosa della legislazione italiana a riguardo. Vorremmo invitare tutti a leggere quanto segue non solo perché in questo modo saprete cosa si rischia a scaricare illegalmente files da internet, ma, conoscerete anche un veloce itinerario della presente legge.
Quando nelle puntate precedenti abbiamo parlato di realtà amatoriali e professionali, ne abbiamo tracciato precisi confini: ai termini di legge si è colpevoli allo stesso modo, sempre che non intervenga il lucro. Se è possibile chiudere un occhio verso colui che scarica illegalmente una canzone ogni tanto, crediamo invece che coloro che dal p2p traggono profitto siano da punire, anche severamente.
La legge italiana sul p2p (peer-to-peer) è anche detta Legge Urbani dal nome del ministro che la ha proposta, cioè Giuliano Urbani. La legge Urbani è dunque il nome comune attribuito alla normativa della legge 128 del 21 maggio 2004 della Repubblica Italiana. La materia principale della presente legge riguarda il finanziamento pubblico per certe attività cinematografiche e sportive: dunque apparentemente nulla a riguardo della vicenda p2p.
“Segretamente”, ma poi nemmeno tanto dato il clamore mediatico che aveva dato la vicenda, si è inserito un argomento del tutto eterogeneo e in questo modo si è regolata anche la distribuzione di opere coperte dal diritto d’autore, anche attraverso il p2p.
Prima del 22 marzo 2004, cioè della data dell’entrata in vigore del Decreto Urbani, convertito poi in legge della Repubblica Italiana il 18 maggio 2004, non erano previste sanzioni per la condivisione di opere tutelate dal diritto d’autore qualora non vi fosse scopo di lucro.
Secondo alcune competenti voci, cambiare la dicitura “a fini di lucro” con “per trarne profitto“, operato dalla presente legge, avrebbe introdotto nella legge 22 aprile 1941, n. 633 la possibilità di incorrere in sanzioni penali, anche per chi fa esclusivamente un uso personale di opere protette dal diritto d’autore ottenute attraverso internet e il p2p.
Per questo motivo, lo scambio di opere protette dal diritto d’autore, come avviene nella maggior parte dei sistemi di file-sharing, sarebbe ricaduto nelle sanzioni penali poiché i sistemi di condivisione di file (file-sharing) più diffusi utilizzano reti p2p nelle quali ciascun utente funge sia da client (quindi scarica) che da server (quindi condivide): ricordiamo inoltre che spesso i file scaricati sono automaticamente condivisi, anche durante la fase di scaricamento.
Questo primo metodo interpretativo, suggestivo, non teneva tuttavia conto del requisito di uso non personale ai fini della sanzione penale, come previsto dall’art. 171-ter., in materia di download; non considerava neppure la mutua esclusività della finalità dell’uso non personale e del dolo eventuale (la forma di colpevolezza in caso di condivisione automatica). In effetti, non risultano ad oggi condanne di utenti finali emesse in base alla legge così come approvata il 18 maggio 2004: gli utenti finali, però, non sono i gestori di server o altri meccanismi per il p2p.
Il 31 marzo 2005 fu approvata la legge n. 43 che ripristinava lo scopo di lucro al posto della dicitura “trarne profitto” ed inserì due commi nell’articolo 171 della legge sul diritto d’autore, che, pur lasciando queste violazioni nel campo penale, eliminano la “detenzione”.
A questo bisogna aggiungere che l’articolo 174-bis legge n. 633/1941 prevede, oltre la sanzione penale, anche una sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a euro 103,00. Se però il prezzo non fosse facilmente determinabile, la violazione è punita con la sanzione amministrativa da euro 103,00 a euro 1032,00. La sanzione amministrativa si applica nella misura stabilita per ogni violazione e per ogni esemplare abusivamente duplicato o riprodotto.
Attualmente rimane ancora in vigore la lettera (a) comma 2 dell’articolo 171-ter che prevede il carcere da uno a quattro anni e multa da 2.500 a 15.000 euro per chi “riproduce, duplica, trasmette o diffonde abusivamente, vende o pone altrimenti in commercio, cede a qualsiasi titolo o importa abusivamente oltre cinquanta copie o esemplari di opere tutelate dal diritto d’autore e da diritti connessi“, ma poiché non è esplicitamente indicato, come in altre parti della legge, l’azione di “immettere in reti telematiche” è possibile che ciò non sia contemplato.
La situazione rimane dunque estremamente complicata e di difficile interpretazione anche per chi si occupa di giurisprudenza: quello che si evince è che un buon avvocato sarebbe in grado di salvare un incallito scaricatore grazie a qualche cavilli legale. Lungi da noi farvi la paternale per l’ennesima volta, ma, ora che sapete a grandi linee le legge, magari ci penserete prima di scaricare l’ultimo album di Madonna.
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