Qualche giorno fa, mentre scrivevo i due articoli sulla spinosa questione del file “consolidated.db” (Un file su iPhone e iPad tiene traccia di tutti gli spostamenti – iPhone e geo-tracking, qualche precisazione) pensavo che tutto fosse ormai rientrato e che per una volta la logica dei fatti avesse vinto. Pensavo, insomma, che non ci fosse un bis dell’antennagate ad aspettare Apple. Mi sbagliavo di grosso. Negli ultimi giorni la questione location è ormai ufficialmente degenerata in un nuovo LocationGate, con buona pace di chi come il sottoscritto odia a morte quel prefisso appiccicato ormai di default a qualsiasi “scandalo” mediatico. Unica differenza rispetto al caso dell’estate 2010 il fatto che nel mezzo, assieme ad iOS, questa volta ci sia finito anche Android.
Sono state già avviate inchieste da parte del Senato degli Stati Uniti e di vari governi, compresi quelli di Francia, Germania, Corea del Sud e Italia. Negli U.S.A. è stata inoltre depositata una causa contro Apple mentre Steve Jobs avrebbe risposto ad un utente di MacRumors (ma in questo caso manca la certezza dell’attribuzione dell’email) con una riga sibillina che complica ulteriormente le cose. Il tutto mentre da parte dell’azienda non arriva alcuna comunicazione ufficiale.
L’invio dei dati
Il nocciolo della questione è semplice: i dati raccolti da Apple nel file consolidated.db non vengono inviati in remoto. Lo hanno subito messo in chiaro anche i due ricercatori Allan e Warden, autori del software iPhoneTracker. Android, che pure ha un file di cache delle location, pulisce i dati con maggiore frequenza e tiene dunque traccia delle posizioni più recenti, ma quei dati li invia in remoto, direzione Mountain View. Attenzione, però, questo non significa che Google stia agendo in malafede, perché Android chiede esplicitamente se i dati di posizionamento raccolti a livello di sistema possono essere condivisi. L’utente può scegliere che cosa farne con una chiara e semplice interfaccia di opt-in.
I dati raccolti da consolidated.db vengono registrati nel file sempre e comunque, ma a differenza di Google Apple non li riceve in remoto, insomma.Siamo di fronte a due approcci tecnicamente differenti ma simili nel risultato.
Nel caso di iOS non c’è alcun opt-in perché i dati rimangono sul dispositivo. Sia come sia, a voi scegliere fra il tracciamento locale della posizione da parte di un’azienda che guadagna dalla vendita del dispositivo dotato di un sistema “chiuso” (Apple con l’iPhone) e il tracciamento ristretto nel tempo ma inviato in remoto da parte di un’azienda che guadagna con gli advertisement e con la profilazione degli utenti del proprio sistema operativo “open”.
Steve risponde
Alla luce di questo fatto la presunta risposta di Steve Jobs ad un utente dei forum di MacRumors che minacciava di passare ad un Droid, sul quale il tracking secondo lui non avverrebbe, assume un significato differente:
“Oh si che ti tracciano” ha risposto Steve riferendosi ad Android e Google. “Noi non tracciamo nessuno. Le informazioni che circolano sono false”.
Tutto sta nel capire il significato del verbo “to track”. E’ vero che Apple non “traccia” nessuno, nel senso che non raccoglie a livello aziendale, in server remoti e accessibili a terzi, i dati che finiscono in consolidated.db. L’iPhone traccia se stesso e l’utente che lo utilizza, ma non invia niente verso l’esterno. Ed è vero anche che Android traccia l’utente, ma lo fa dopo un opt-in. Sono due tipi di tracciamento diverso, e se il soggetto è l’azienda, allora è vero che Google traccia l’utente (perché riceve i dati) ed Apple no (perché l’azienda i dati non li riceve mai).
Sono questioni sottili, diciamo pure un po’ troppo sofisticate perché le si possa riassumere troppo senza farne scempio. Eppure i media e i governi non si sono trattenuti un minuto di più e si sono gettati a capofitto su un argomento che li vede arrancare, sopraffatti dai tecnicismi di un tema su cui non sono per nulla preparati. D.E. Dilger ha riassunto molto bene il problema, seppur con il suo solito stile arzigogolato:
“Se c’è qualcosa di meno appropriato rispetto ai media tecnologicamente ignoranti che si occupano delle sottigliezze del finto e artefatto scandalo LocationGate, sono le investigazioni da parte dei politici statunitensi ed europei che hanno sospeso i loro impegno nel raddrizzare l’economia, nelle politiche sulla casa e sul lavoro, e nel risolvere vari altri disastri prodotti dalla natura o dall’uomo al fine di discernere sul problema degli smartphone che tengono traccia della posizione come fanno anche le celle di rete e gli operatori fin dalla nascita della telefonia mobile”.
Le cause legali
Lo scorso 22 aprile due utenti hanno denunciato Apple presso il tribunale di Tampa, in Florida, accusando l’azienda di tracciare gli utenti senza permesso. La causa non sembra prendere in considerazione il fatto che quei dati, fino a prova contraria, non finiscono da nessuna parte ma rimangono sul dispositivo nonostante venga citata la ricerca di Warden e Allan, che pure questo aspetto lo mette ben in chiaro.
Secondo l’avvocato dei due denuncianti, Vikram Ajjampur, di Tampa, e William DeVito, di New York, Apple sarebbe colpevole di aver tracciato i suoi due clienti. Ciò che viene richiesto al giudice è l’imposizione di un rimborso (i due dicono che non avrebbero mai comprato i dispositivi, un iPad e un iPhone, se avessero saputo prima di questa “funzione”) e il pagamento da parte dell’azienda dei danni per aver infranto numerose leggi statali sulla privacy. I denuncianti vorrebbero inoltre riuscire a trasformare la causa in una class action.
Non c’è molto di più da dire su questa causa, ma è quantomeno curioso notare che almeno uno dei due utenti che l’hanno intentata teme che la sua privacy sia messa a repentaglio da un file che non viene trasmesso, ben nascosto nel suo iPhone, ma non ha nessun problema a fornire informazioni sensibili a Facebook, azienda per cui le informazioni personali sono pura linfa vitale. Cercando il nome Vikram Ajjampur (salvo improbabili omonimie) su Google il primo risultato è una pagina Facebook dalla quale possiamo vedere liberamente le foto di questo emerito sconosciuto, nato in India e munito di leggera pancetta alcolica tipicamente nordamericana (per sua ammissione) e venire a conoscenza di alcuni dettagli della sua vita (come il suo impiego e luogo di lavoro, ad esempio, dove si suppone passi gran parte delle sue giornate tracciato dal suo iPhone). Il tutto senza essere suoi “amici”, grazie alle sue impostazioni sulla privacy un pochino troppo lasche.
Due pesi e due misure o semplice volontà di cogliere il momento per spillare qualcosa alla gallina dalle uova d’oro di Cupertino?
Mi spiace ma la parte dell’articolo che descrive l’utente è faziosa, su Facebook le informazioni le ha messe lui consapevolmente, mentre non ha richiesto che venissero tracciati i suoi spostamenti. Quindi non cerchiamo di rigirare la frittata, perchè altrimenti un articolo che fino a quel punto era ben scritto scade in una ricerca ostinata di salvare Apple.
Per quanto riguarda il discorso della causa tracciamento, mi sembra un modo per cercare di far soldi, era prevedibile che le posizioni venissero salvate, basta dare la possibilità di fare un semplice delete di quel file e tutto andrà a posto.
Saluti
Marco
Il concetto di fondo è la contraddizione nella posizione di un tizio che ha fatto causa per delle informazioni sugli spostamenti che non vengono diffuse e rese note a nessuno (rimangono sul suo telefono), mentre gli va benissimo che un’altra azienda sappia di lui vita morte e miracoli, informazioni magari più utili a chi fosse interessato a saperne di più su di lui illegalmente. Non c’entra niente difendere Apple: se avesse fatto causa a Google avrei detto esattamente lo stesso.
Quanto all’opt-in è vero che su Facebook ha “scelto lui”, ma non è neppure provato al 100%, dato che ad esempio le impostazioni sulla privacy nell’impostazione di default sono molto più ampie di quanto io personalmente trovo accettabile. E, va ripetuto perché è la differenza importante, su iOS non c’è opt-in perché le info di location.db non vengono inviate da nessuna parte.
Quindi se ora prendo una telecamere e la piazzo a casa vostra dicendo che i filmati tanto vengono registrati li e non escono dal dispotivo non ci sono problemi giusto? :)
@ Menestrello:
No, perché stai usando la tua telecamera, non la mia. L’esempio non calza. :)
Mica ho scritto una mia telecamera.:D
Voglio condividere una mia “scoperta” con voi: tale tracciamento non avviene tramite GPS, ma tramite la sim (non so come si chiami.. celle gprs.. triangolazione.. non lo so), tant’è vero che quando sono stato a Berlino ho avuto per tutto il tempo la sim rimossa e quando sono tornato a casa ed ho avviato l’applicazione iPhoneTracker.app non ho trovato alcuna traccia registrata della mia presenza a Berlino mentre ho trovato tracce del mio viaggio in Spagna della scorsa estate, quando non rimossi la sim. Ad ulteriore conferma di quello che dico c’è il fatto che a Berlino ho usato molto il GPS per aiutarmi negli spostamenti, precaricando le mappe su wifi.
@ Menestrello:
se permetti…un esempio che lascia davvero il tempo che trova.