Ieri, tramite il profilo Facebook del nostro Lorenzo Paletti, mi è capitato di rivedere il video una puntata di Metropoli dell’aprile scorso in cui Valerio Massimo Manfredi presenta un servizio sull’obsolescenza programmata. InformareXresistere, che lo ha ripubblicato qualche giorno fa, parla di “Rai3 VS Apple”. In realtà il servizio cita solo una famosa causa contro le batterie dell’iPod, del 2003, per poi passare ad altri casi ben documentati di vera obsolescenza programmata. Ma davvero Apple (e altri produttori) programmano in anticipo la vita media dei prodotti elettronici che ci vendono?
L’esistenza dell’obsolescenza programmata e l’applicazione di queste tecniche nell’ambito della produzione industriale non si può mettere in dubbio. L’esempio del Cartello Phoebus è citato quasi sempre in servizi come quello di Metropoli: nel 1924 alcune delle maggiori aziende produttrici di lampadine crearono un trust al fine di limitare volontariamente la durata dei bulbi ad incandescenza. Il cartello fu sciolto nel 1939, ma il dubbio che nel corso dei decenni successivi molte altre aziende abbiano applicato questa tecnica per limitare in maniera “innaturale” il ciclo di vita di un prodotto è rimasta.
A febbraio 2013 l’Istituto Brasiliano per la Politica e il Diritto Informatico ha lanciato una class action contro Apple per la presentazione troppo precoce dell’iPad di quarta generazione, a soli sette mesi dal lancio del modello di terza generazione. L’ipotesi alla basa della causa è che Apple lo abbia fatto per causare la rapida e pianificata obsolescenza del modello precedente. Il servizio avrebbe potuto citare anzi questo evento (ma forse è stato realizzato prima) mentre ha preferito puntare su una class action del 2003 sulla durata delle batterie degli iPod, un prodotto che oggi è obsoleto non tanto per la qualità delle batterie ma perché, dieci anni dopo, l’industria dei polimeri di litio e delle memorie a stato solido ha fatto passi da gigante[1].
Come tutti i grandi temi che hanno una componente di mistero, fatta di incontri segreti fra grandi magnati e decisioni prese alle spalle della massa ignara, anche l’obsolescenza programmata è divenuta un tema caro alla schiera dei complottisti.
Uno dei miei titoli preferiti sul sito-verità “Trascendentale“
E come sempre in questi casi il tema esce indebolito dalle spire del complottismo, carico di significati e implicazioni che lo complicano inutilmente. Invece di aiutarci a capire i meccanismi che realmente regolano i processi che si possono raccogliere nel calderone della cosiddetta “obsolescenza programmata”, i complottisti giocano sulla paura, sul timore e più in generale sull’ignoranza nei confronti delle “scatolette magiche” che utilizziamo ogni giorno.
Si cita sempre il caso, quando si parla di obsolescenza programmata, del chip nascosto in una stampante per determinarne l’eutanasia dopo un numero prestabilito di copie. Il caso è realtà, ma è anche, a mio parere, un pessimo esempio. Il mercato delle stampanti di fascia economica è, ormai da anni, una palude di pratiche commerciali e industriali ad altissimo tasso di scorrettezza verso i consumatori.
Il problema di fondo, però, sono i modelli di business che hanno puntato tutto su una corsa al ribasso, con uno spostamento dei profitti verso le ricariche e l’inchiostro, vale a dire verso quegli elementi del processo sui quali i produttori possono ancora permettersi di ricavare margini decenti. Ma se il profitto dunque viene dalle ricariche, che senso ha programmare la morte dell’oggetto elettronico che viene venduto ormai quasi a prezzo di costo?
Ciò che TheOatmeal pensa delle stampanti di oggi.
Questo ipotetico modello – i produttori che programmano la morte delle stampanti – cozza in parte anche con un altro dei pilastri della “planned obsolescence”. Ce lo spiega in maniera egregia la relativa voce di Wikipedia, perfetta (come spesso accade) per avere una superficiale spolverata delle basi della questione:
L’obsolescenza programmata tende a funzionare meglio quando un produttore ha almeno un’oligopolio. Prima di introdurre un’obsolescenza programmata il produttore deve sapere che il consumatore tenderà a comprare uno dei suoi prodotti in sostituzione. In questo caso c’è un’asimmetria dell’informazione fra il produttore – che sa che un prodotto è progettato per durare un determinato intervallo di tempo – e il consumatore, che non lo sa. Quando un mercato diventa più competitivo il ciclo di vita di un prodotto tende ad aumentare.
Si può dire tutto del mercato delle stampanti e del fatto che i maggiori produttori applichino le stesse pratiche di base sui modelli di fascia consumer – ovvero puntare tutto sulle ricariche anziché sul valore del prodotto. Viene difficile, però, pensare che vi siano oligopoli tali da definire il problema nei termini specifici dell’obsolescenza programmata più che in quelli generali di una pessima politica commerciale ormai largamente diffusa.
Allo stesso modo nel mercato dei produttori di PC è difficile individuare davvero un oligopolio tale da far pensare a pratiche di obsolescenza programmata hardware-based come quelle che sembrano descrivere i complottisti.
Eccoci quindi alla domanda da un milione di dollari: Apple pratica l’obsolescenza programmata?
La risposta è sì. La pratica come qualsiasi azienda sul mercato dell’elettronica di consumo che rispetti i meccanismi di base del capitalismo e che, in quanto tale, obbedisce alle regole della crescita[2].
Per crescere bisogna vendere un numero sempre maggiore di prodotti ma non tanto a chi ne ha già comprati alcuni che si sono rotti in maniera programmata, quanto conquistando nuovi consumatori ad ogni giro delle stagioni.
Per riuscire in questo obiettivo, dunque, Apple non ha implementato alcun kill switch hardware nei suoi prodotti, ma ha un’intera divisione guidata dal Vice Presidente del Marketing, Phil Schiller.
Non è il pezzo che si rompe, nel caso specifico, a determinare la naturale obsolescenza dei prodotti, quindi, ma la sistematica necessità di creare novità continue che conquistano nuovi clienti e allo stesso tempo lasciano sul campo delle vittime collaterali: i prodotti più vecchi che non sono in grado di supportare quelle novità.
Il fatto che ad oggi l’iPhone non sia più fatto così è chiaramente sintomo di un’obsolescenza pianificata a tavolino
Come le stampanti erano un pessimo esempio per spiegare l’obsolescenza programmata applicata ad un prodotto di fascia bassa e largo consumo, così Apple è un pessimo esempio per parlare di obsolescenza pianificata attraverso le novità software e di marketing.
In un mercato in cui gli altri produttori escono con decine di nuovi prodotti all’anno, molti dei quali in versioni pensate per costare poco ed essere praticamente dei prodotti usa e getta, è difficile pensare che sia Apple il campione di queste pratiche “scorrette” (con i suoi prezzi alti e “cicli di novità” lunghi almeno un anno salvo rare eccezioni).
Si potrebbe dire quindi, che Apple pratica l’obsolescenza programmata come sottoprodotto di un marketing efficiente.
Anche in ambito software, dove si potrebbe osare di più e dove spesso pure a Cupertino decidono di tagliare fuori alcune funzioni dai modelli più vecchi e meno potenti, l’obsolescenza è più che altro il frutto della necessità di eliminare rapidamente la “legacy”.
Allo stesso modo nel caso di altri produttori una tendenza maggiore all’obsolescenza del prodotto – es: smartphone super costosi tre anni fa che oggi non possono neppure montare l’ultima versione di Android – è più legata alla minor qualità industriale più che ad una pianificazione cosciente di questo aspetto del prodotto.
Non a caso anche nel mercato smartphone si ripropone, oggi, quel che è sempre stato nell’ambito PC: un Mac tiene il valore molto meglio di un Computer di pari caratteristiche; un iPhone tiene il valore molto meglio di uno smartphone di pari caratteristiche e dello stesso anno; un iPad tiene il valore che nessun tablet Android è in grado di tenere visto che ormai te li tirano dietro con il fustino del detersivo e la corsa al ribasso dei prezzi – tentativo disperato per rubare quote di mercato all’iPad – ha innescato meccanismi simili a quelli del mercato delle stampanti.
In conclusione, come sempre in questi casi, più che per resistere a minacce lette male e palesemente travisate, sarebbe più utile informarsi per il semplice desiderio di sapere e soprattutto per scegliere e discernere, da bravi consumatori critici e coscienti.
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eh, un articolo sul filo del rasoio :D
in realtà, a parte qualche limitazione software programmata, credo che semplicemente i componenti hanno nei dati dichiarati dal produttore un tot di funzionamenti garantiti (ad esempio i bottoni dei finestrini elettrici delle auto, ce ne sono da 100k click, da 200k etc etc)... semplicemente la gente compra in maniera bulimica alla ricerca dell'ultimo grido tecnologico (funzioni e connessioni), modaiolo (tipo nei vestiti, Zara/H&M etc etc) o stilistico (Ikea) senza considerare il rapporto prezzo/prestazioni nel tempo: certo alcune aziende ci hanno marciato sopra vendendo per oro oggetti che, scusate il giro, oggettivamente tanto non posso piu durare, ma bisogna dire che in generale i prezzi son calati drasticamente....
consuma! consuma! consuma!
insomma, non siamo piu persone come gli anni '70, ma consumatori.... come tali dovremmo prendere coscienza e "spingere" il mercato verso la nostra convenienza (che sia economicità pittosto che sostenibilità, piuttosto che longevità... li è da scegliere)
Samsung fa le tv che si rompono dopo 2 anni, e appunto, SI ROMPONO! Per cui io non andrei certamente a comprarne un'altra Samsung, ma purtroppo la gente non ci arriva. I prodotti Apple invece non si rompono mai, semplicemente Apple vende tanto grazie all'introduzione di molte novità (che invogliano all'acquisto e non novità alla Samsung come il video che va in pausa quando togliamo lo sguardo…). Basta vedere i Mac che si possono utilizzare almeno il doppio se non 3 volte più a lungo rispetto ad un pc, senza sentire la necessità di cambiarlo. Certo, l'ho pagato il doppio o il triplo di un pc ma almeno durante questo periodo non ho dovuto lanciare bestemmie al plutonio ogni giorno e ho sempre avuto una qualità costruttiva e un'affidabilità superiore. Il giorno che cambierò Mac accadrà perché sarà troppo lento per l'utilizzo che ne faccio, ma sicuramente non si romperà per molti altri anni!! (in ufficio usiamo un Power Mac G4 cube configurazione base per utilizzare le email e fare ricerche al volo su internet; funziona perfettamente dopo 13 anni!!)
Il mio glorioso Mac Pro dual 2,5ghz del 2004. Durato fino a novembre 2010, e avrebbe potuto dare ancora grandi soddisfazioni. Purtroppo un giorno ha deciso di non avviarsi più. Apple non fornisce più assistenza. Un famoso negozio autorizzato di Torino mi ha chiesto 30 euro solo per dirmi "potrebbe essere la scheda video o la scheda madre, non possiamo saperlo con precisione". Naturalmente mi sono rifiutato di pagare. Ho acquistato un'altra scheda madre dagli Stati Uniti, perfettamente funzionante. Si avvia ma poi non funziona. La scheda video è stata testata ed è funzionante.
Ho successivamente scoperto che le schede madri sono programmate per riconosce il serial delle cpu native. Andrebbe riprogrammata la mainboard per fargli riconoscere le cpu.
Risultato: ho comprato il nuovo Mac Pro Intel. Spero duri ancora qualche anno altrimenti sono dolori per il portafoglio!
L'unica cosa su cui mi sono fatto una esperienza é di non aggiornare oltre un iOS rispetto a quello nativo per non avere rallentamenti tali da far venire voglia di un nuovo dispositivo . Faccio un esempio iPhone 5 aggiornamento a ios7 e poi basta anche se sarà supportato da ios8
Camillo articoli sempre interessantissimi e ben articolati.
@II stella a dx:
Grazie :)
iMac DV (grape) del febbraio 2000. Perfettamente funzionante (anche se lo schermo e' diventato un po' scuretto) e usato dai genitori per posta e word processing (e solitari....)
Thinkmacintosh ha detto:
Le tv si rompono dopo 2 anni alla maggior parte della gente perchè non sono collegate ad un gruppo di continuità, i più sicuri anche se costicchiano sono gli APC.. ma comprarsi tv anche da 500-1000euro o modelli più costosi e non spendere neppure 90-200euro per un gruppo di continuità decente e sicuro è follia.
Così come è pura pazzia buttare 400-700euro su un qualsiasi smartphone o tablet Android che siano di Samsung o HTC. Vuoi perchè il livello di svalutazione è così rapido che dopo 3 mesi valgono il 30% in meno e dopo 1 anno li rivendi a 150euro se va bene, vuoi perchè la qualità costruttiva è mediocre ed è quasi tutta plastica economica, vuoi perchè il supporto dato dal produttore con gli aggiornamenti è pessimo e si interrompe dopo 6 mesi o 1 anno e poi la gente installa "le ROM cucinate" come è di moda dire.. fatto sta che si tratta di prodotti mediocri e costosi su cui i produttori lucrano tantissimo offrendo niente, quelli sì.
matteo65601 ha detto:
Infatti 700 sono troppi ma basta comprarli quando costano meno: trovi un s3 a 300€ e un galaxy tab 2 a a 250....meno della metà degli omologhi Apple.
In quel caso il rapporto qualità prezzoé a avore di android.
Obsolescenza programmata é anche aggiornare l'hardware col contagocce: passiamo da un telefono con 1gb di RAM double core a un quad core con 2 gb, sapendo che tra due anni saranno già insufficienti.
Dammi subito un 8 gb, così per un po' sono a posto!!