I segreti dietro le quinte di un Apple Store italiano

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È difficile scoprire cosa succede dietro le quinte di un Apple Store. I negozi di Cupertino sono blindati, e i dipendenti costretti a tenere la bocca cucita. Ora un articolo su nuvola.corriere.it apre e le porte (e le bocche) di un paio di dipendenti di Apple. E il loro racconto è illuminante.

Si chiamano Michela e Gianluca. Non è dato di sapere se questi siano i loro veri nomi, o se quello che raccontano avvenga realmente in un Apple Store, ma vale la pena sentire cosa hanno da dire.

Michela dice che il suo lavoro, all’inizio, sembrava diverso da come sarebbe realmente diventato. Il primo giorno di lavoro, spiega, ogni dipendente riceve una carta Credo:

Una carta con i principi basilari di Apple sulle risorse umane. Dice che la persona è al centro e che vale la regola del work-life balance, il giusto equilibrio tra lavoro e vita.

Aggiunge Giancarlo:

Esplora il significato del termine: È un portabadge con il tuo nome. All’interno c’è un piccolo pieghevole grigio, in italiano o in inglese. Contiene una serie di frasi motivazionali. I manager ti dicono: “se siete in difficoltà guardate la vostra credo card e troverete la risposta”È un portabadge con il tuo nome. All’interno c’è un piccolo pieghevole grigio, in italiano o in inglese. Contiene una serie di frasi motivazionali. I manager ti dicono: “se siete in difficoltà guardate la vostra credo card e troverete la risposta”. Facile, si tratta di frasi di buon senso, vanno bene per tutte le occasioni.

Michela:

Al mio arrivo sono stata accolta dagli applausi. Dal clapping, come dicono loro. Alla fine c’era la musica, si ballava. Sembrava di stare in paradiso.

La situazione, però, è cambiata. Michela continua:

Tutte le mattine c’è il daily download, la riunione quotidiana prima dell’apertura del negozio. Alla fine c’è sempre il clapping. Tutti i giorni. Si celebrano le persone che hanno raggiunto i risultati migliori. Ogni giorno chi non viene premiato ci rimane male.

E Gianluca:

Le altre riunioni si chiamano store meeting e sono condotte come se fosso uno spettacolo. C’è lo store leader, chi dirige il negozio, che fa da presentatore. Ti dicono: “tu sei una persona che vale, se sei in Apple sei una persona eccezionale, se ti abbiamo scelto è perché sei speciale, sentiti speciale, poniti degli obiettivi ambiziosi”. Ti fanno pensare che ci sia la meritocrazia, ma per me non è stato così.

Michela spiega che il lavoro di Apple è “misurato” con il Net Promoter Score, o NPS:

Si basa sulla misura della soddisfazione del cliente che può valutare via mail la persona che lo ha servito.Ci sono tre voci: friendly welcoming, se ha sentito un clima amichevole di benvenuto; timely assistence, sui tempi di assistenza; clear purchase process, se l’acquisto del prodotto è stato corretto e chiaro. Ogni cliente può dare un giudizio da 1 a 10. Se prendi il massimo il tuo cliente viene definito promoter, se ti ha dato 7 o 8 il cliente è passive, da 1 a 6 hai portato nello store un cliente detractor.

Gianluca racconta:

Se hai generato un detractor, una persona che va in giro a parlar male di Apple, rimane come una macchia sulla tua carriera. Ci venivano chiesti anche giudizi sugli altri dipendenti, avrebbero dovuto essere anonimi, avevo l’impressione che non fosse così. A commenti denigrativi nei confronti di un manager spesso seguiva un richiamo.

I dipendenti si tengono aggiornati sul lavoro visitando un sito interno, Reatail Me, che però dicono di riuscire a visitare con poca frequenza a causa degli impegni. Inoltre, e questo lo sapevamo già, un dipendente Apple non può dire apertamente no ad un cliente:

Gli addetti all’assistenza, qui si chiamano family room specialist, non possono mai utilizzare la parola “No” con un cliente. Mai usare parole negative in caso di rifiuto, si devono fare dei giri di parole.

E ogni mese viene organizzato un incontro tra dipendenti e manager:

Viene chiamato HAID, sta per How am I doing? Come sto andando? Alla fine parla solo il manager. Diventa un monologo, serve solo a lui per dirti che cosa devi fare.

E se qualcosa non funziona, e un dipendente si rivolge al Manager, questo consulta un libro, il Lominger, che contiene la descrizione delle 67 competenze che deve avere un dipendente di Apple:

Nei libri di questa collana ci sono istruzioni su come superare lo stress, come essere felici. […] Un manager una volta aveva gli occhi lucidi mentre mi leggeva il Lominger. “Senti che profondità di pensiero, senti che parole profonde”, mi diceva. Io ero un po’ perplesso.

E il nome di Apple è un motivo per accettare la situazione, oltre che un vanto. Dice Michela:

C’è la paura di entrare in rotta con un’azienda di cui si apprezzano i prodotti.

E conlcude Gianluca:

Sono ancora un fan sfegatato. Lo ero già da piccolo, mio padre comprava sempre Apple. Ora sono un cliente molto soddisfatto. Certo, non è il posto più bello dove lavorare, ma rimane un’azienda che sa fare bene i prodotti, li sa vendere, li sa riparare.

[via]

7 commenti su “I segreti dietro le quinte di un Apple Store italiano”

  1. Ipotizzando che quanto detto sia vero, non è che l’ambiente sia negativo, è che loro hanno accettato quel lavoro più per bisogno di soldi che per reale interesse. Parlo in generale, e non solo della Apple: anche quando non c’era crisi, chi lavora – essenzialmente – come commesso non l’ha mai fatto con l’idea di poter apprendere qualcosa. Lo ha fatto per i soldi. Certo, essere commesso non sarà il lavoro più appagante del mondo (hai uno stipendio medio, capitano tantissimi straordinari, hai decine di clienti caratterialmente molto diversi), però è pur sempre un’esperienza che metti nel CV. È un’esperienza da cui puoi apprendere.

    Sicuramente l’atteggiamento Apple è particolarmente costruito, però Apple offre servizi e beni che vuole/deve vendere per sopravvivere, quindi tutto sommato ci sta. Quello che non capisco è – se non ti piace quello che fai, perché lo fai? Tralasciando il discorso della crisi, è chiaro che in Apple vedano in malo modo il lavoratore che ottiene una valutazione da parte del cliente da 1 a 6. Io cliente potenziale che vengo in negozio voglio essere trattato bene (non con il tappeto rosso, chiaramente), quindi mi aspetto che tu sia cortese e sappia rispondere efficacemente alle mie risposte. Invece quello che mi capita di vedere (nella quasi totalità dei casi) è gente poco preparata, con voglia di fare pari a zero, che ti fa attendere per una sciocchezza e chiama tre colleghi per risolvere la questione. Quindi, per quanto mi riguarda, preferisco un atteggiamento costruito come quello che vuole Apple, dove a domanda corrisponde risposta (e non mugugno), piuttosto che un atteggiamento a casaccio.

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    • @Carlo:

      questo succede perchè in quasi tutti i negozi assumono gente presa dalla strada, che se va bene si intende di elettronica per conto proprio, senza fare nessuna formazione.
      Anche da apple, a quanto pare, non c’è differenza: poca vera formazione ma lavaggio del cervello per apprezzare il grande privilegio di lavorare per loro.

  2. “E Gianluca: Ti fanno pensare che ci sia la meritocrazia, ma per me non è stato così.”

    Ehhh, Avevano capito che saresti diventato uno spione e non ti hanno fatto far carriera.

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  3. Secondo me é un modo di vedere il lavoro molto distante da quello italiano, c’è molto pragmatismo e i risultati vengono misurati con numeri, se li fai bene altrimenti male, senza troppe giustificazioni o scuse, qui si é molto abituati alla discussione e al confessionale non ai numeri.
    Per i metodi motivazionali, io sono vecchio e faccio fatica ad apprezzarli, quando sento parlare di ‘stimoli’ da qualche capetto mi viene di appoggiarmi con la schiena al muro…

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  4. Qui ce da fare un altro discorso ed è come viene visto il lavoro in Italia e all’estero. In Italia c’è una maledetta paura della parla competizione! In un azienda italiana non si può dire che il premio di produzione lo do a tizio caio e sempronio perché sono bravi e gli altri no perché non hanno raggiunto certi risultati. Si mettono di mezzo i sindacati che dicono che lo devono prendere tutti perché siamo tutti uguali! Non è vero! Se io faccio 1000 e un altro 10000 è giusto che gli venga riconosciuto. I lavoro si deve misurare in base alle performance. Succede così ovunque. Basta nascondersi dietro al finto buonismo, se vuoi il merito si deve per forza misurare con i ridultati

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  5. …il fatto che Michela e Gianluca parlino al passato mi fa pensare che siano ex dipendenti… Tre o quattro mesi dopo l’apertura di un nuovo store c’è sempre un articolo così… Ad opera di quelli che non hanno passato il periodo di prova.

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  6. si ma è sempre un negozio di elettrodomestici, non sei un ricercatore al cern.
    A me puzza molto di modding all’americana stile mc donald, dove ti danno due soldi, ma vuoi mettere il prestigio di fare il commesso per loro?
    C’è da vantarsene per tutta la vita

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