Non sono un fan di AppGratis e non lo sono mai stato, perché credo che pubblicizzare, dietro pagamento, delle applicazioni rese gratuite solo per pomparne i download, per quanto legittimo, non sia il migliore degli schemi di marketing possibili nell’ecosistema dell’App Store.
La mia opinione personale, però, non mi impedisce di pensare che Apple abbia peccato in mancata trasparenza nella rimozione di AppGratis dall’App Store. Non fosse altro perché nel frattempo non si vedono grandi miglioramenti sul fronte della lotta ai veri truffatori che smerciano iPacchi pieni di commenti finti a 5 stelle.
Il CEO di App Gratis, Simon Dawlat, ha spiegato in un lungo e dettagliato post sul blog aziendale i motivi della rimozione dell’applicazione e si dice sorpreso (per usare un eufemismo) della scelta operata da Apple.
Ammette anche alcuni errori da parte di AppGratis, come ad esempio la scelta di realizzare tante applicazioni nazionali invece di crearne una sola localizzata per tutti i singoli mercati.
AppGratis non è un’app “da poco”, ma una vera e propria corazzata da 12 milioni di utenti nel mondo che dietro ha un’azienda da 45 dipendenti e svariate “succursali” sparse per il globo. Anche se l’applicazione continua e continuerà a funzionare per gli utente che già l’anno installata, è evidente che la scelta di Apple non farà bene ai conti della società.
Del resto, però, il business di AppGratis è da sempre stato borderline e il rischio che qualcosa di questo genere potesse succedere c’è sempre stato da quando sono state introdotte due clausole nel regolamento di App Store che sembrano cucite su misura per limitare la diffusione di applicazioni come quella di Dawlat e soci. Chi investe in un settore di questo tipo e crea un’azienda il cui successo dipende dall’approvazione di un “ente superiore” che controlla il mercato chiuso in cui opera, deve anche sapere che giocare con certe regole porta parecchi introiti e allo stesso tempo parecchi rischi.
Insomma: massima solidarietà per il povero CEO preoccupato, ma non è questo il punto nodale della questione. Il nocciolo, piuttosto, è che Apple pare abbia deciso di chiudere la porta dell’App Store in faccia a tutte le applicazioni di questo tipo, vale a dire a quegli “storefront” alternativi che a parere di Cupertino rischiano di alterare in maniera arbitraria le classifiche dell’App Store.
Tralasciamo il fatto che il successo di simili applicazioni è legato evidentemente alle carenze dei meccanismi di App Discovery dell’App Store, perché meriterebbe un discorso a parte.
C’è da dire invece che questo presunto repulisti, ancora una volta, manca completamente di trasparenza. E soprattutto lascia un’impressione ben chiara: Apple spara al bersaglio grosso, facile da colpire, perché non riesce davvero a far fronte al problema sistemico della diffusione di applicazioni di bassissima qualità o palesemente truffaldine, che gonfiano però i numeri globali dell’App Store.
Quel problema, qui su TAL, l’abbiamo affrontato più volte nell’ambito della nostra rubrica sugli iPacchi, ovvero quelle applicazioni a pagamento che A) non fanno quanto promesso nella descrizione; B) sono palesi truffe; C) fanno largo uso di sistemi di votazione automatica positiva che Apple non riesce ad arginare.
Una soluzione a questa “piaga”, che viene semplicemente spazzata come polvere sotto il bel tappeto dell’home page di App Store e delle sezioni curate manualmente dallo staff, non l’abbiamo ancora vista davvero, nemmeno dopo gli aggiornamenti dell’App Store in iOS 6. Aggiornamenti che, per altro, hanno complicato ulteriormente il meccanismo di ricerca dell’App Store sui dispositivi mobili, rendendolo più lento e macchinoso e spianando la strada ad app come AppGratis, delle quali ora Apple vorrebbe liberarsi.
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