Se per le canzoni il concetto è semplice da implementare, per le app non si può dire altrettanto. Ma non tutti gli sviluppatori sono d’accordo sulla necessità di una simile soluzione.
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Una delle soluzioni più semplici da implementare sarebbe quella dei “quindici minuti di prova” che Google Play offre agli utenti: se un’applicazione viene cancellata entro 15 minuti dal momento dell’acquisto al cliente non viene addebitato nulla.
In questo modo è possibile provare un’app per almeno una decina di minuti e rendersi conto, rapidamente, se è quella che risolve il nostro problema oppure, nel caso di un gioco, se valga davvero la pena comprarlo per continuare a giocarci.
Sembra una soluzione semplice e immediata, ma le implicazioni negative potrebbero essere molteplici.
In tanti potrebbero ad esempio rimandare l’acquisto di un’applicazione al momento in cui sono sicuri di avere un quarto d’ora a disposizione. Senza un’ulteriore complicazione del modello di test (del tipo “la prova inizia dopo la prima apertura dell’applicazione”) in tanti finirebbero per non scaricare quelle applicazioni che in altre occasioni avrebbero comunque acquistato. Un vantaggio, probabilmente, per gli utenti, e uno svantaggio non da poco per Apple e per gli sviluppatori.
Il problema da risolvere, insomma, sarebbe quello di integrare un sistema di prova nelle dinamiche consolidate dell’ecosistema di App Store, cercando possibilmente di non innescare meccanismi che possano deteriorare il mercato o creare danno agli sviluppatori, intaccandone i proventi. Perché, per quanto ci si possa sforzare di pensare che gli utenti vengono prima di tutto, è pure vero che senza il lavoro di decine di migliaia di sviluppatori l’App Store non sarebbe la storia di successo che conosciamo.
Nei giorni scorsi la sviluppatrice Amy Worral ha riportato in auge la questione con una sua proposta per i trial a tempo.
L’ipotesi di Amy prevederebbe questo:
Sulla carta l’ipotesi è particolarmente allettante, ma che effetto potrebbe avere sulle attuali dinamiche dell’App Store?
Ma soprattutto: consentirebbe davvero agli sviluppatori di alzare i prezzi delle applicazioni evitando di “svendere” ad 89 centesimi mesi di lavoro?
Perché, alla fine, è questo il nocciolo della questione: la possibilità di far pagare cifre consone per applicazioni che varrebbero di più dei loro 0.89€, senza il rischio che gli utenti non le prendano neppure in considerazione proprio perché troppo costose.
Sono quesiti di non facile risposta, perché quel che potrebbe funzionare per uno sviluppatore potrebbe rivelarsi fallimentare per un’altro. Nel caso dei giochi, poi, servirebbero periodi di tempo di prova più brevi per evitare che gli utenti possano giocare per qualche ora per poi evitare di comprare la versione definitiva dell’applicazione.
La questione della pirateria, invece sarebbe secondaria, a detta di molti sviluppatori. I pirati, già ora, sono in grado di crackare le applicazioni, trial o meno. La disponibilità di una versione di prova dell’applicazione non aggraverebbe più di tanto una situazione che è comunque limitata alla minoranza dei “jailbreaker malevoli”.
Uno dei motivi per cui anche applicazioni che potrebbero costare molto di più vengono prezzate al di sotto dei due euro è che in questo modo, grazie anche ad acquisti impulsivi e casuali favoriti dal prezzo contenuto, è più facile scalare le classifiche dell’App Store. Arrivare in alto in una delle chart significa automaticamente moltiplicare le vendite e quindi gli introiti giocando sulla massa critica di utenti che acquisteranno l’applicazione.
Secondo Marco Arment questo è il punto chiave. La sua proposta, in questo senso, è piuttosto radicale. Apple dovrebbe eliminare le classifiche basate sui download e sugli acquisti e puntare invece ad intensificare il lavoro di selezione “critica” delle Apple.
Ampliare insomma il concetto degli “staff’s pick” per premiare direttamente le applicazioni migliori. Una sorta di meritocrazia sotto steroidi che sebbene possa essere utile sulla carta affida troppo ad un giudizio soggettivo un ruolo fondamentale nell’ecosistema. Le classifiche, per capirci, sono taroccabili, è vero, ma un sistema interamente basato sulla selezione di un gruppo di persone interne all’azienda potrebbe creare non poco malcontento fra i “non selezionati”, oltreché suggerire dinamiche di censura, corruzione, inadeguatezza del giudizio e via discorrendo.
Per concludere va ricordato che al momento il sistema degli acquisti in app può essere un valido surrogato dei trial per un buon numero di applicazioni. Si prenda l’esempio di Ruzzle, o di buona parte degli ultimi titoli Gameloft.
Non è ovviamente una soluzione ottimale, ma molti sviluppatori hanno dimostrato che modelli basati su questa feature possono riscuotere un discreto successo.
Aspettiamo in ogni caso iOS 7, anche se, a sensazione, non credo che l’attivazione di un sistema di trial per le app rientri esattamente nelle priorità di Apple per l’App Store. Anche perché, va detto, le migliori necessarie per lo Store sono ben altre. In primis la velocizzazione della ricerca e la “ristrutturazione” della navigabilità dei risultati rispetto ad iOS 6.
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Aumento di prezzi è un suicidio.
Meglio che Apple non faccia la vaccata di toccare nulla e scontentare i clienti.
Il modello attuale funziona perfettamente visto che Apple ha il 75% dei profitti reali di tutto il mercato
Basterebbe implementare la modalità del marketplace dei windows phone...app completa in prova ma limitata nelle caratteristiche( dipende se gioco o app) e se vuoi l'acquisti...
per cui prima di spendere 2-3-5-9€ almeno provi l'app