Ieri il CEO di Apple Tim Cook ha partecipato alla D11 Conference, la conferenza annuale organizzata da All Things Digital (Wall Street Journal). Durante l’intervista condotta da Walt Mossberg e Kara Swisher, Cook non ha rivelato nulla di particolarmente eclatante, né ha svelato molto dei piani futuri Apple. Si è limitato a commentare alcuni punti nodali della strategia dell’azienda, parlando dell’interesse per il mercato dei “wearables” e della possibilità di un iWatch, della Apple Tv, dell’impegno ecologico di Apple, del ruolo di Jony Ive nel redesign di iOS 7 e OS X 10.9. A seguire, un riassunto dei punti salienti dell’intervista.
Come sta Apple?
Una delle prime domande dei due co-host non poteva non riguardare l’attuale situazione dell’azienda Apple.
Tim Cook ha rassicurato tutti sull’attuale stato di salute che è ottimo, come dimostrano i profitti e i soldi in cassa, ma ha ammesso la frustrazione per l’andamento altalenante delle azioni, di certo non piacevole né per Apple né per gli azionisti.
L’importante, ha detto il CEO, è che Apple non ha perso e non perderà di vista il suo obbiettivo principale, che è quello di creare ottimi prodotti. Se l’azienda riuscirà in questo allora tutto il resto seguirà a ruota. “Abbiamo dei piani incredibili su cui stiamo lavorando da un po’. Idee incredibili. La stessa cultura che vi ha portato l’iPhone e l’iPad e l’iPod e in parte anche gli stessi che vi hanno portato il Mac. Sono ancora lì…”.
Sono cicli, ha detto in riferimento al periodo il “veterano” Cook, che è alla Apple da molto tempo e sa che i momenti della “storia” dell’azienda non sono e non possono essere tutti uguali e tutti iper-positivi.
In relazione all’enorme riserva di liquidi che Apple ha accumulato e fatica a smaltire, Cook ha dette due cose fondamentali: Apple continua ad acquisire aziende e know-how ad un ritmo molto alto, anche se non annuncia ogni singola acquisizione. Quest’anno ce ne sono state già nove, eppure nessuno ne ha saputo niente. Apple non è contraria per principio ad acquisizioni più importanti, ma ciò non toglie che al momento non sia nell’interesse di Cupertino la ricerca di un’acquisizione “pubblicitaria” o che serva solo a liberarsi di un po’ di contante.
Il dopo Forstall
Tim Cook non ha voluto rispondere alla domande dirette su Scott Forstall e su come la sua assenza possa aver cambiato l’impianto dirigenziale. “Non parlo di chi non è presente”, ha specificato Cook prima di ammettere, comunque, che il cambio è stato per il meglio. L’obbiettivo era serrare i ranghi, in sostanza, per far sì che quella integrazione che differenzia i prodotti Apple dalla concorrenza potesse funzionare al meglio. E’, in parte, un’ammissione del fatto che Forstall fosse, fra tutti i dirigenti, quello più isolato e più individualista, la cui visione non si sposava bene con quella collegiale che Cook aveva in mente.
Cook non è un grande visionario né tantomeno ha le velleità poetiche che spesso Jobs esprimeva con le sue citazioni di Bob Dylan. Ma anche lui ha saputo tirar fuori il suo “momento Jobs” quando ha affermato che lo scopo di questa “stretta” alle fila dirigenziali è quello di “trovare la magia all’incrocio” fra i vari campi di specializzazione dei suoi dirigenti. Qualcosa di simile a quell’incrocio fra tecnologia e arti liberali di cui parlava spesso lo Steve degli ultimi anni.
L’era Ive e iOS 7
L’interprete di questa nuova visione Apple è certamente Jony Ive nel suo nuovo ruolo di “capo” della divisione Human Interfaces.
Cook lo ha detto chiaro e tondo: Apple ha riconosciuto ufficialmente a Jony il ruolo determinante svolto nel plasmare il design dei prodotti della Mela e ha voluto che quella visione potesse estendersi anche al software.
Nell’era post-PC c’è necessità di prodotti innovativi e straordinari ma soprattutto integrati, fatti di hardware, software e servizi che funzionino assieme talmente bene, da fondere le possibili distinzioni e rendere indistinguibili le singole parti che compongono il quadro complessivo della User Experience.
Non ha confermato nulla, il CEO, sull’imminente iOS 7 e sui suoi cambiamenti, ma ha ricordato che la WWDC, fra meno di due settimane, sarà il luogo preposto a svelare queste grandi novità.
“Avete presente l’aspettativa della mattina di Natale?” ha chiesto Cook alludendo al valore dell’effetto sorpresa
I due co-host non si sono lasciati scappare l’occasione per un simpatico siparietto: “No,” ha risposto Kara Swisher, “perché noi aprivamo i regali la sera…”
“E io sono ebreo, quindi non lo ricordo proprio per niente!” ha chiosato Mossberg suscitando le risate del pubblico.
iWatch e i computer indossabili
Walt Mossberg e Kara Swisher hanno insistito a lungo, durante l’intervista, sull’argomento iWatch. Cook non si è sbottonato più di tanto ma ha lasciato intendere che l’interesse di Apple per il settore è reale.
Tutto si basa sul capire che cosa potrebbe rendere un dispositivo simile all’altezza degli standard Apple e come fare in modo che un ragazzino voglia indossarlo.
Ci sono sul mercato diverse offerte interessanti, ha detto Cook, ma con molte, troppe limitazioni e compromessi che non rendono l’esperienza d’uso completa e accattivante per un pubblico realmente ampio.
In ogni caso, ha confermato il CEO, il mercato dei “wearables” e dei dispositivi basati su sensori biometrici è in espansione e crescerà moltissimo nel corso dei prossimi anni.
A Cook però non piace assolutamente l’idea dell’occhiale, che Google porta avanti con insistenza, perché troppo invasivo e troppo legato soprattutto al piano estetico dell’individuo. L’occhiale è allo stesso tempo qualcosa che definisce il tuo aspetto, è uno statement, e dunque un prodotto come i Google Glasses, che Cook non ha citato esplicitamente, non è la soluzione migliore per un pubblico ampio.
Il polso, insomma, è la parte del corpo a cui ha più senso mirare, perché indossare un braccialetto è molto più naturale e meno “esplicito” e determinante nel look di un individuo.
Lo stesso Cook, forse anche nella sua veste di consigliere di amministrazione della Nike, ha ammesso di indossare con soddisfazione un Fuel Band, prima di confermare, però, che ancora molto si può fare in questo campo. Non lo ha detto esplicitamente, ma è chiaro che in qualche recesso del campus di Cupertino c’è un laboratorio in cui gli ingegneri e i designer Apple stanno lavorando a prototipi di wearables di ogni genere.
Apertura agli sviluppatori
Dopo aver parlato un po’ delle tasse e della necessità di una riforma fiscale che consenta ad Apple di riportare capitali in patria ad un tasso di contribuzione “decente”, Cook ha concluso l’intervista parlando dell’intenzione di aprire di più iOS agli sviluppatori, in futuro.
Non è chiaro quanto Cook abbia giocato a rendere speciali i “piani standard” di Apple, che ad ogni nuova versione di iOS aumenta sempre il numero delle API disponibili per gli sviluppatori.
Sta di fatto che a quanto afferma il CEO i developers, a cui Apple deve gran parte della fortuna di iOS e dell’App Store, potranno accedere ad un numero sempre maggiore di feature dei dispositivi, con una libertà che comunque non impedirà ad Apple di fare quelle scelte che secondo il CEO è pagata per fare.
Vale a dire, in soldoni, che un’apertura maggiore di iOS agli sviluppatori di terze parti non significherà “far west” modello Android: il walled garden continuerà a mantenere alte le proprie mura di cinta, ma agli sviluppatori sarà consentito di “aggiungere features”, qualsiasi cosa questo voglia dire.
Chi fosse interessato all’intervista completa può trovare il video dell’intervento di Cook alla D11 su All Things Digital.
non c’è niente da fare, quando voglio leggere qualcosa di serio e di dettagliato devo venire qui. Sono molto contento della questione “apertura agli sviluppatori”, soprattutto perchè so che sarà una cosa fatta come si deve. Per il resto poco altro da dire, aspetto con trepidazione il prossimo 10 giugno e sono sicuro che ci sarà qualche bella sorpresa…ne vedremo delle belle davvero!