E’ così che Arthur D. Levinson, presidente del Consiglio di Amministrazione Apple ed ex CEO di Genentech, ha descritto la Apple di quest’ultimo anno e mezzo davanti ad un pubblico di universitari presso la Stanford Graduate School of Business.
“Non sono ancora riuscito ad entrare nella stanza del consiglio senza che mi manchi la presenza di Steve” ha detto Levinson. “Era un tipo unico… Lo Steve Jobs pubblico non era quasi per niente lo Steve Jobs che io conoscevo”.
Il coinvolgimento emotivo del Chairman è tale che, per sua stessa confessione, non è ancora riuscito a leggere fino in fondo la biografia di Jobs di Walter Isaacson.
Levinson non ha parlato solamente del proprio rapporto personale con Jobs, ma ha esposto un interessante punto di vista sulle recenti vicende Apple. Ha descritto come fenomenali i 13 miliardi di profitto registrati dall’azienda nel Q1 2013 ma anche come comprensibili le fluttuazioni del titolo, con un calo legato alla constatazione che la Apple di Tim Cook è un’azienda in parte diversa da quella guidata da Steve Jobs.
Una Apple, ha insistito Levinson, che tuttavia ha ben chiari i propri obiettivi a lungo termine; traguardi che l’azienda può e vuole raggiungere indipendentemente da piccole (e insignificanti) variazioni del fatturato o del numero totale di iPhone venduti:
“Ci sono segnali a lungo termine sull’andamento di un’azienda e il fatto che Apple venda 47 anziché 48 milioni di iPhone… lasciamo che sia qualcun altro a preoccuparsene”.
Il Consiglio di Amministrazione, ha poi rivelato Levinson, non ha praticamente alcun influsso sulle decisioni specifiche relative ai prodotti. Certo, ha la possibilità di consigliare e suggerire punti di criticità, ma non è un grand giurì di revisione delle fasi di sviluppo e soprattutto non deve interferire nella gestione dell’azienda da parte del CEO e del team degli executive:
“Il Consiglio non è lì per definire le specifiche dei prodotti. E’ lì come piattaforma di supporto, come risorsa. E alla fine dei conti, il consiglio è al proprio posto per assumere o licenziare il CEO”.
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