I dividendi Apple come segno dell’era Cook

L’annuncio di un programma di dividendi e di repurchase delle azioni AAPL da parte dell’azienda, ufficializzato ieri da Tim Cook e Peter Oppenheimer, è arrivato a dipanare l’interrogativo più quotato fra gli analisti Apple negli ultimi mesi: cosa diamine se ne faranno Tim e Co. di quei 100 miliardi che hanno in banca?
La risposta, come abbiamo visto, è semplice: ci saranno i dividendi, una ri-acquisizione di circa 10 miliardi di dollari di azioni nel corso di tre anni neutralizzerà la diluizione del titolo e avanzeranno abbastanza soldi per continuare con la strategia di acquisizioni e acquisti in larga scala della componentistica che hanno caratterizzato le operazioni Apple nel corso dell’ultimo decennio.

Su un piano più concettuale e non prettamente economico la scelta su cui Tim Cook ha messo ieri il sigillo ha un significato diverso: è la prima vera, grande decisione presa dal Board Apple e dagli Executive responsabili delle questioni finanziare da quando Steve Jobs se n’è andato, lo scorso ottobre. E per quanto possa essere scioccante, è un passo necessario verso il distacco dal modo in cui Steve gestiva le cose.

La possibilità di un piano di dividendi, più e più volte ventilata dagli analisti quando Steve Jobs era ancora il CEO dell’azienda da lui co-fondata, era stata più volte rintuzzata come lontanissima e assolutamente inutile da Jobs in prima persona.
La restituzione del valore agli azionisti, secondo Steve, non doveva passare tramite una mera compensazione finanziaria, ma poteva essere ottenuta utilizzando quella montagna di denaro per continuare ad innovare.

Ma c’è un ma: quando Steve si sperticava a dichiarare la totale inutilità di un dividendo la liquidità di Apple ammontava a “soli” 40 miliardi di dollari. Era il 2010. Nel corso del primo trimestre di questo 2012 fiscale di miliardi Apple ne ha fatturati 36 miliardi e incassati circa una dozzina di miliardi in profitti. In cassa, ad oggi, di miliardi di dollari ce ne sono quasi 100. Una cifra che forse avrebbe suggerito la necessità di una mossa prettamente finanziaria anche ad un inguaribile testardo come Steve.

In compenso durante la seconda era Jobs, il titolo AAPL è stato splittato più volte, anche se in momenti che per quanto floridi non avevano nulla a che vedere con l’attuale periodo di vacche obese.
Non troppo tempo fa Cook si è espresso esplicitamente contro gli stock split, a suo parere operazioni di semplice aritmetica finanziaria prive di un vero ritorno per chi investe in Apple a lungo termine.

Gli indicatori ci sono tutti quindi, per suggerire, come scrivevo poco sopra, che questa sia la prima vera decisione che Steve non avrebbe mai preso (o avrebbe fortemente esitato a prendere). Il primo passo, così potremmo definirlo, di una fase avanzata dell’elaborazione del lutto aziendale di cui Cook si è necessariamente fatto portatore.
Questa è dunque la Apple di Cook, sappiatelo, sembra dirci questa decisione, e Cook è un manager che sa fare le sue scelte e assumersi le proprie immense responsabilità.

Ed è un uomo dell’innovazione che tuttavia sa ascoltare gli investitori e più in generale Wall Street, una voce cui Steve Jobs non ha mai dato particolarmente peso.
Tim Cook, invece, da responsabile delle operazioni e libero da quello che potremmo definire il “fardello del visionario” ha curato i necessari rapporti con gli attori più importanti della finanza, dai quali un’azienda come Apple non può prescindere. Sarebbe bello se Apple non avesse bisogno dell’approvazione di Wall Street e soprattutto non dovesse stringere le mani degli squali della Goldman Sachs, ma questa è la società capitalistica in cui viviamo, prendere o lasciare.

C’è un altro dettaglio, minore ma molto interessante, che suggerisce un nuovo approccio più collegiale alle problematiche aziendali. Il titolo della conference call di ieri era “Esito delle discussioni sul bilancio di cassa” e non, per dire, “Annuncio sul bilancio di cassa”. Quel che si voleva comunicare, anche in questo caso, era chiaro: abbiamo parlato con gli investitori, abbiamo parlato con gli analisti e infine abbiamo parlato fra noi; ora Tim e Peter vi diranno che cosa abbiamo deciso. Sotto la guida di Steve sarebbero stati comunque Cook e Oppenheimer a prendersi la responsabilità di questo tipo di comunicazione, ma nel processo decisionale preventivo Steve Jobs avrebbe fatto sentire la sua presenza in maniera forte e di certo “collegialità” non sarebbe stata la parola chiave con cui descrivere la natura della discussione.

Questo nuovo corso e la capacità di lasciare alla spalle il passato senza dimenticare ma impostando il percorso migliore per il futuro sono esattamente quello che dobbiamo aspettarci da un’azienda matura, che deve fare i conti con il suo nuovo ruolo di prima potenza mondiale per capitalizzazione di mercato mentre deve continuare spingere sul pedale dell’innovazione gestendo un capitale economico sconfinato, superiore al PIL di molte nazioni dell’Occidente.

Ed è soprattutto il percorso inevitabile che l’erede di un genio sregolato, che non poteva rientrare sotto nessuna particolare classificazione, deve cercare di seguire: non il tentativo di indossare i panni del predecessore illustre ma la volontà di preservare la preziosa cultura dell’azienda senza rinunciare ad aggiungere il proprio marchio personale offrendo un’immagine pubblica di sicurezza e forte capacità decisionale.

2 commenti su “I dividendi Apple come segno dell’era Cook”

  1. E’ giusto..non si deve dimenticare Steve e quello che ha fatto, però è giunto il momento di prendere delle decisioni, che magari Steve non avrebbe mai preso però Cook ormai ha delle responsabilità e per il bene della Apple deve prendere le decisioni che ritiene più giuste

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  2. Non sono così sicuro che Steve Jobs non avrebbe approvato una simile decisione. Può anche essere che i soldi per farla, almeno nelle dimensioni in cui la si voleva fare, non fossero ancora sufficienti.

    E magari si è aspettato che i profitti raggiungessero quote trimestrali tali da ripagare questa operazione ancor prima che la stessa venga portata a termine (Apple potrebbe mettere da parte nuovi 45 miliardi di dollari in meno dei tre anni in cui verrà eseguita tutta questa operazione).

    Se c’è una cosa che Jobs faceva più spesso di quanto non si possa pensare era cambiare idea su qualcosa dopo aver esaminato meglio la questione. Non escluderei quindi che Jobs avrebbe negato questa operazione. Anzi.

    Poi sono ormai molti anni che tutte queste decisioni bene o male, secondo me, le prende Tim Cook, o comunque sono ormai molti anni che Cook ha un ruolo decisivo nel prenderle.

    Poi tutto può essere, ma purtroppo la controprova manca.

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