Alcuni analisti e molti potenziali clienti hanno criticato il prezzo di partenza dell’iPad mini, 329$ / 329€, considerato troppo alto in confronto a quello del Google Nexus 7 da 16GB (249$) e del Kindle Fire HD di Amazon (199$). Se dai secondi è lecito aspettarsi questa critica, visto che sono quelli che sganceranno la grana, altrettanto non si può dire dei primi – gli analisti – per i quali non dovrebbe essere difficile capire che non è molto sensato confrontare questi prezzi senza tenere conto di un elemento importante: Google e Amazon non ricavano alcun profitto dalla vendita dei propri dispositivi.
Phil Schiller ha già risposto ufficialmente a queste critiche, con le suadenti parole del marketer navigato. La questione più prettamente “finanziaria” sui modelli di business nel mercato tablet, però, è interessante e merita quindi un approfondimento ulteriore.
In risposta ad un mio commento su Apple 2.0, il blog Fortune di Philip Elmer-DeWitt, in cui criticavo appunto il confronto diretto fra i prezzi di base del Kindle Fire HD (199$), del Nexus 7 (249$ per la versione da 16GB) e quello dell’iPad mini (329$) l’utente Falkirk ha delineato in maniera abbastanza chiara quali siano le difficoltà di un modello in cui l’hardware viene venduto a prezzo di costo e si spera che i profitti arrivino “dopo”, con i contenuti.
Segue riadattamento dell’esempio fornito sul caso Amazon con una revisione dei dati aggiornato con gli ultimi numeri attendibili.
Amazon e i Kindle
Ad oggi l’ASP dell’iPad è di circa 600$ ed Apple è in grado di ricavarci un profitto, che stando ai numeri più recenti (dati a marzo 2012) potrebbe attestarsi mediamente fra i 180$/200$ per unità (~30%).
Amazon, vendendo i suoi tablet al prezzo di produzione, ha rinunciato totalmente ai profitti e spera di rifarsi grazie ai contenuti, che mediamente gli garantiscono un 4% di margine.
Per generare profitti (per Amazon) paragonabili a quelli dell’iPad (per Apple) ogni tablet della famiglia Kindle Fire dovrebbe generare almeno 4500$/5000$ dalla vendita di contenuti.¹
Chi è quell’utente che davvero spende una simile cifra in contenuti multimediali nel giro di un tempo abbastanza ragionevole da poterla rendere “contabilizzabile” e confrontabile con il profitto secco di un iPad?
La risposta degli analisti, solitamente, è che il rafforzamento di un revenue stream consolidato (in questo caso quello della vendita dei contenuti) è un modello che funziona. E su questo possiamo essere d’accordo, almeno nel caso di Amazon, la cui dimensione è di svariati ordini inferiore se confrontata con il gigante Apple e il cui dominio sul mercato dei contenuti può comunque giustificare la rischiosa strategia che Bezos (che non è certo l’ultimo arrivato) ha scelto con convinzione. Ma per Big G valgono le stesse considerazioni?
Google e il Nexus 7
Nel caso di Google la faccenda si complica. Non si può fare un conto rapido e semplice come quello fatto per Amazon. Perché bisogna derivare ulteriormente e prendere in considerazione che i profitti di Big G arrivano dagli ads, dalla profilazione e solo in parte assai minima dalla vendita dei contenuti. Numeri specifici su quanto Google ricavi ogni anno dagli ads non ce ne sono e pertanto è difficile fare una stima in questo senso.
Il succo della questione è che, anche in questo caso, volendo essere ottimisti, a Google potrebbero volerci almeno 3 anni (considerati come ciclo di vita di un Nexus, e sono tanti) per avvicinarsi a generare i profitti che Apple genera con l’iPad attraverso il singolo, istantaneo, atto della vendita del dispositivo.
Si potrebbero prendere numeri “a caso” e macinarli per vedere cosa verrebbe fuori, come nel caso di Amazon. Le variabili in questo caso sarebbero davvero troppe e un qualsiasi risultato non avrebbe molto valore. Insomma, non è facile determinare il “valore” di un utente Nexus per un gigante il cui profitto deriva, volendola prendere molto alla larga, dal fatto che ogni utente in più connesso ad Internet è una potenziale impression in più sugli ubiqui ads che quel gigante gestisce.
L’impressione, dunque, è che il Nexus 7 sia più che altro una “spesa necessaria” con cui Google vuole cercare di strappare un pezzetto di market share all’iPad. E sappiamo tutti quanto gli analisti vadano facilmente in brodo di giuggiole per il market share. Non è colpa loro è che il profit share non è così facile da calcolare e da vendere, ben precotto, ai facoltosi clienti che richiedono le loro costose consulenze.
Una precisazione sui numeri
L’esempio di Amazon e il non esempio di Google sono contestabili e confutabili. O meglio, lo sarebbero se ci fossero numeri concreti con cui confutarli. In realtà di cifre su revenue per canale, sulle vendite, sul margine lordo, sui profitti per “prodotto” e sulle commissioni per le vendite, non ce ne sono.
Sia Amazon che Google ci tengono a non far conoscere questi dettagli. Rimane soltanto da chiedersi perché.
Note:
1 – Nel caso del Kindle andrebbe messa in conto anche la “fee” che l’utente può decidere di pagare per rimuovere gli ads (15$) e le revenue che quegli ads possono garantire. Difficile comunque pensare che queste entrate possano essere annoverato come profitti in grado di mutare il quadro generale delineato nell’esempio.
Alessandro 25/10/2012 il 11:03
Gran bell’articolo!
K3K 26/10/2012 il 06:17
Questi sistemi pirateschi per cercare di guadagnare quote di mercato mi sembrano tanto ricalcare il sistema a bolla della “New economy”. Sappiamo tutti poi com’é andata a finire…. Senza profitto non esiste commercio sano ma solo speculazione che droga il mercato, tutto bene finché il sistema regge ma prima o poi si paga il conto ed allora poi son dolori
Gurzo2007 26/10/2012 il 07:38
@K3K:
Si certo le console insegnano lol
Luther Blissett 26/10/2012 il 08:52
@K3K: il conto però non lo paga il consumatore ma al limite la casa che ha osato troppo. in ogni caso ben venga se un prodotto amazon o google faccia una concorrenza spietata (sui prezzi) alla apple, che da sempre esagera sui margini e “droga” il mercato con la sua retorica da status symbol. non ha caso, per la prima volta da anni, alla apple hanno pensato di correre ai ripari creando un ipad mini (che non era esattamente nei piani di steve jobs). secondo la teoria economica in un mercato perfetto i margini devono tendere per forza a zero. un monopolio non è un mercato perfetto, anzi è quanto di più corrotto possa esistere.
dunque viva la concorrenza.
Camillo Miller 26/10/2012 il 09:55
@Luther Blissett: Lo paga il consumatore, eccome, e lo paga per primo, perché si ritrova con un esperienza d’uso condizionata anche da queste dinamiche.
Massimo 26/10/2012 il 09:34
Beh, la “filosofia” perorata dall’articolo, non sta in piedi.
Da nessuna parte c’è scritto che il margine debba essere del 30%!
Sono un mac/ios user abbastanza vecchio da aver utilizzato l’Apple IIe (tanto, tanto tempo fa!) quando ancora era in produzione, ed i primi Mac basati sul Motorola 68000.
Adesso, sinceramente, mi sono stancato dell’ottusa politica Apple dei “prezzi alti a tutti i costi”.
Capisco che l’iMac sia “bello”, ma non ha senso spenderci 2000 euro quando una macchina “brutta” con le stesse caratteristiche la posso avere a meno della metà.
Mi sono stancato dell’iPhone con una batteria che non dura una giornata, e che mi costringe ad avere un cavetto a casa, uno in ufficio ed uno in auto… ed uno nella borsa per quando prendo il treno. E dove non posso scegliere di caricare un software che non sia stato preventivamente approvato da Apple sulla base di criteri che non condivido.
Il mio iPad era “vecchio”, era un iPad 1… ed ora è utilizzato come “comic reader” (eh, sì… alla mia età io ancora leggo i fumetti!), ed è stato sostituito proprio da un Google Nexus 7!
E quando è uscito l’iPhone 5, per la prima volta non ho neppure pensato di cambiare il mio 4S.
Aspetto un paio di mesi per prendere il Samsung Note II, che ho avuto modo di provare e che mi ha impressionato!
A dicembre uscirà il “nuovo” iMac da 27 pollici. Per ora il mio “vecchio” 27 mi va bene, e l’unica cosa che mi manca è la USB 3, e se avessi avuto una struttura modulare, come quella di un PC che costa la metà di un iMac, avrei potuto installare una scheda aggiuntiva senza problemi.
Così come avrei potuto installare un masterizzatore Blu Ray interno…
Personalmente non credo che Apple stia seguendo la strada giusta.
E’ liberissima di fare quel che vuole, soprattutto adesso che non vende più un prodotto “bello” ma un prodotto “di moda”.
Mo non con la mia partecipazione, non a questi prezzi, non con questi ingiustificati ricarichi.
Camillo Miller 26/10/2012 il 10:00
Sono pareri. Questa “filosofia” chiamasi business, cmq. E se un’azienda vuole campare per creare prodotti che valgono, è bene che di margine ne abbia eccome. Anche perché uno è libero: se il prezzo non ti va bene, non lo compri. Ti accontenti di un’altra esperienza. Qui il punto di vista utente è relativo.
Poi non entro in ulteriori commenti sulla questione dell’aggiornabilità dei Mac perché sennò veramente torniamo indietro di dieci anni a fare discorsi ancora solo sulla base delle nude specifiche, come se contassero quelle e punto.
L’esperienza d’uso del tuo iMac 27″ è lontanamente paragonabile a quella che avresti avuto nello stesso periodo con un PC Windows di stesse caratteristiche? Io penso proprio di no…
Massimo 26/10/2012 il 10:21
@Camillo Miller:
Non conosco Windows, se non marginalmente.
Ma utilizzo quotidianamente Linux, e posso confermarti che nell’uso OSX e Linux sono assolutamente sovrapponibili, con ampio vantaggio di Linux per quanto riguarda il costo di acquisizione degli applicativi
Camillo Miller 26/10/2012 il 10:27
@Massimo:
Con me su Linux sfondi una porta aperta, per carità.
Però non credo che l’esperienza d’uso sia sovrapponibile. Le basi sono di fatto le stesse e quindi pure certi concetti, ma direi che la sovrastruttura, se la vogliamo chiamare così, che ti offre l’ecosistema Apple è ben diversa. A partire da molte features software.
E anche in quel caso non mi dirai che il supporto hardware sia così avanzato da permettere degli swap hardware di qualsiasi tipo, no?
Massimo 26/10/2012 il 10:39
@Camillo Miller:
Forse un fotografo professionista può avere dei problemi con Linux, perchè non mi risulta che esista Photoshop per Linux.
Magari anche un progettista meccanico, perchè AutoCAD Autodesk per Linux non c’è (ma praticamente non c’è nemmeno per Mac, visto che la versione Mac di AutoCAD non mi pare neppure lontanamente paragonabile a quella per Linux).
Ma per tutto il resto, in totale sincerità non vedo tutta questa arretratezza e sudditanza di Linux nei confronti di OSX (che, per dirla tutta, è pesantemente copiato da Linux).
E comunque, niente impedisce di adottare Hackintosh, con buona soddisfazione, utilizzando quindi OSX su una macchina “standard” di costo estremamente più contenuto.
L’unica cosa che attualmente non ho in animo di rimpiazzare è il MaxBook Air :-)